USA2020: ma quanti soldi servono per arrivarci?

Pubblicato il 10 Marzo 2020 alle 10:48 Autore: Domenico Maria Pellecchia

A differenza dei Paesi che nel mondo votano attraverso sistemi elettorali proporzionali, gli Stati Uniti utilizzano il sistema elettorale maggioritario, e questa differenza si riproduce inevitabilmente sulle campagne elettorali.

Votare con un sistema proporzionale maggioritario – first-pass-the-post  come viene generalmente chiamato il sistema maggioritario semplice – produce due effetti sostanzialmente diversi rispetto al voto proporzionale: i candidati non possono fare a meno della loro costituency (i cittadini che vivono nel collegio elettorale del candidato) e la devono conservare.

Per fare questo, hanno bisogno di un rapporto molto diretto fra cittadini ed candidato, e le campagne elettorali risentono di questa necessità: serve molto engagement, e quindi servono molti soldi.

Tanti soldi, perché i messaggi non si veicolano gratis e perché diventa fondamentale incontrare – online o offline – ogni singolo cittadino che vive nella zona presa di mira.

Uffici elettorali, Eventi, spot televisivi, spot radiofonici. E poi Google Ads, Facebook Ads (si, quelle tanto contestate nelle elezioni Generali del 2016 fra Trump e Clinton), Instagram Ads. Tutto questo ha inevitabilmente un costo insostenibile per chiunque, o forse no (ndr. Mike Bloomberg), non si appoggi sull’elemento fondante della politica: le persone.

Già, perché senza le donazioni piccole o grandi che siano, le campagne dei candidati subirebbero inevitabilmente un ridimensionamento piuttosto massiccio: basti pensare che Bernie Sanders, candidato molto democrat ma decisamente poco liberal  di queste primarie ha raccolto, fra cittadini che hanno donato a testa meno di 200 dollari, l’enorme somma di 73,942,140 milioni di dollari tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020.

I finanziamenti possono anche aiutare candidati meno conosciuti, come l’ex Sindaco di South Bend in Indiana, Pete Buttigieg a raggiungere importanti risultati: la sua campagna è stata, a memoria, una delle più efficaci condotte da candidati outsider per le primarie democratiche.

La domanda sorge quindi spontanea: quanti soldi ci vogliono per diventare il nuovo contendente democratico per la Casa Bianca? Spoiler: Non serve mezzo miliardo di dollari, se non sai come usare quella cifra.

Mike Bloomberg, ex-Sindaco di New York e candidato presidente alle primarie Dem del 2020. Si e’ ritirato dalla corsa dopo aver speso mezzo miliardo di dollari per la sua campagna

 

 

Abbiamo raccolto i dati forniti da OpenSecrets.org, no-profit che si occupa della trasparenza della politica americana e che da anni fornisce puntualmente i dati economici di tutti i candidati democratici e repubblicani.

La cifra che subito salta agli occhi è il totale dei fondi raccolti da tutti i candidati che si sono presentati alle primarie dell’Iowa (le prime) più Mike Bloomberg, presentatosi solo nel Super Tuesday del 3 marzo: 795,632,505 milioni di dollari.

Cifra maggiore rispetto a quella spesa, per intenderci, da Barack Obama nel 2012 per vincere la corsa alla Presidenza contro Mitt Romney.

Una cifra sicuramente importante ma che rappresenta anche il cambio dei tempi (la politica online ha un costo specifico molto alto) e, soprattutto, viziata dalla discesa di Mike Bloomberg nel campo dei democrats: vediamo infatti come il magnate ex-Sindaco di New York abbia messo sul piatto fondi privati per 464.143,378 milioni di dollari.

Dopo aver assistito ad uno dei Super Tuesday più emozionanti degli ultimi anni, stupisce ancora di più il dato sul foundrising di Joe Biden: l’ex-Vicepresidente di Obama ha infatti molta difficoltà nella raccolta fondi, dovuta agli scarsi risultati dei primi Stati in cui si è votato: aveva raccolto solamente 68.281,497 milioni di dollari provenienti dai contribuenti americani e 7.919,417 milioni di finanziamenti provenienti da altre fonti.

Dato pessimo se si pensa che il suo più concreto oppositore, il senatore del Vermont Bernie Sanders, ha raccolto nello stesso tempo almeno 132.564,706 milioni di dollari provenienti dai cittadini, mentre dai comitati ne ha ricevuti 7.919,417.

Un dato che corrobora la sempre più insistente narrazione secondo la quale i ritiri degli altri democratici moderati abbiano aiutato a compattare la base a uscire vittoriosi dal Super Tuesday con un candidato adesso veramente favorito: la somma dei finanziamenti raccolti da Biden, Buttigieg, Klobuchar e Gabbard si aggira intorno ai 205.365,804 milioni di dollari, molto più di quello che ha potuto raccogliere il senatore del Vermont (che qui non contiamo insieme alla soma raccolta da Elizabeth Warren perchè i due candidati si sono sempre distinti nelle loro piattaforme elettorali, e quest’ultima ritirandosi non ha fornito il suo endorsement a Sanders).

Sono tanti soldi, ma se un candidato si ritira dalla corsa dopo aver ottenuto i finanziamenti?

I ritiri di Pete Buttigieg, Amy Klobuchar, Elizabeth Warren e Mike Bloomberg hanno segnato anche il grande interrogativo della destinazione finale dei delegati fin qui ottenuti, ma spulciando fra i dati dei foundrising di questi candidati salta all’occhio anche un ammontare decisamente influente di denaro che non sono riusciti a spendere durante la campagna: 90,689,593 milioni di dollari raccolti tramite le leggi federali per la raccolta di fondi, che ovviamente non verranno accaparrati dai singoli candidati, ma potranno essere utilizzati in diversi modi.

Potranno essere congelati in attesa di un’altra campagna, oppure essere donati ad altre campagne nel tentativo di aiutarle (un po come accade quando un candidato si ritira e decide di dare il suo endorsement a un altro candidato, spingendo i suoi delegati e i suoi elettori a votare per lui).

Il discorso per Mike Bloomberg è un po diverso: la sua intera campagna elettorale è stata finanziata di tasca propria (si stima che abbia un patrimonio di 60 miliardi di dollari) e quindi, non avendo speso o ottenuto soldi da nessun Political Action Committe (PAC) e nessun contribuente americano, non è vincolato alle opzioni degli altri candidati. Ha fatto un investimento, che al momento ha dati bruttissimi risultati.

Chi sono le persone che finanziano i candidati?

Secondo i dati di OpenSecrets è possibile anche tracciare un profilo dei militanti tipo di ognuno dei candidati, come si nota da questo grafico:

Bernie Sanders ha ricevuto la maggior parte dei finanziamenti dalla working class americana: insegnanti, operatori sanitari e pubblica amministrazione sono i suoi punti forti, in netta controtendenza rispetto al candidato moderato Biden: la fetta più grossa dei suoi finanziatori deriva infatti dalla professione degli avvocati e dai pensionati, come del resto i finanziatori degli altri candidati moderati come Pete Buttigieg e Amy Klobuchar.

Insomma, la campagna di Sanders, che pure sta mostrando parecchi limiti nell’estendersi verso tutti gli elettori da conquistare a novembre, può contare su una solida base lavorativa, porzione su cui il Senatore ha basato quasi tutti i messaggi della sua campagna.

Dopo aver incassato diversi endorsement, invece, Biden può ancora trovare un margine per allargare la provenienza dei suoi voti, e imporsi come traghettatore moderato in vista di formare una nuova classe di leader democratici: lui è l’uomo che può battere Trump dice, e nel frattempo accasare sotto la sua ala (ndr. amministrazione) i leader di domani, che guardino oltre il solco tracciato da Obama.

Seguendo il percorso dei soldi donati dalle persone ai diversi candidati appare sempre più evidente che la campagna di Sanders avrà ulteriori problemi in vista delle votazioni il 10 e il 17 Marzo: Biden ha unificato il campo democratico contro di lui, e negli ultimi giorni sta percependo numerosi nuovi finanziamenti, questa volta più sostanziosi della precedente tornata.

Il senatore del Vermont ha invece gli stessi numeri dello scorso anno, e diversi membri del suo staff stanno cominciando ad attaccare Joe Biden negli spot che andranno in onda negli Stati interessati dal voto di fine Marzo, forse un segno dei limiti di una campagna grassroot e radicale, forse l’evento che gli darà lo sprint verso la nomination.

Se c’è qualcosa di sicuro in queste primarie è l’incertezza del risultato finale, al momento.

Questa tornata elettorale ha già stabilito diversi record: le primarie con più candidati della storia (battendo quelle Repubblicane del 2016), le primarie con i risultati più incerti da almeno 30 anni, e ora le primarie con più soldi spesi.

Mancano ancora parecchi mesi alla Convention democratica di Luglio, e le sorprese molto probabilmente non sono finte di certo qui.

 

L'autore: Domenico Maria Pellecchia