Ma PD e M5S possono non stare insieme?

Pubblicato il 15 Aprile 2024 alle 09:00 Autore: Alessandro Faggiano
Ma PD e M5S possono non stare insieme?

Ma PD e M5S possono non stare insieme?

Disclaimer: questo è un articolo di opinione che riflette l’idea personale dell’autore e che non ha subito alcuna revisione o modifica da parte di Termometro Politico.

Dovrebbe essere una domanda legittima: ma se Partito Democratico e Movimento 5 Stelle non stanno insieme, come si batte il centrodestra? Ed è una domanda che, si badi bene, non ha a che vedere con simpatie per l’uno o l’altro schieramento. È una semplice questione di matematica: anche se in politica 2+2 è sempre diverso da 4, le condizioni attuali impediscono ai principali schieramenti di opposizione di andare ognuno per fatti propri. Almeno, lì dove c’è da reclamare un governo locale, regionale o nazionale.

La Puglia della discordia

La coalizione progressista del campo largo ha visto la sua battuta d’arresto dopo la serie di scandali sollevati nella Regione Puglia, attuale fortino di Michele Emiliano (che ha condiviso un lungo percorso di governo con il Movimento 5 Stelle) e di Antonio De Caro, sindaco di Bari e tra gli esponenti più in vista del mondo “dem”. Giuseppe Conte, leader pentastellato, ha ritirato i suoi dalla giunta regionale guidata da Emiliano, confermando quello strappo che si era aperto dopo la rinuncia alle primarie per scegliere il candidato sindaco di Bari e che, in teoria, sarebbe stato sostenuto sia dai dem che dai pentastellati. A primavera è così calato il gelo sull’unico asse che può realmente impensierire il centrodestra.

Differenze sostanziali tra una coalizione e un campo largo

Se per le elezioni europee, com’è ovvio che sia, tutte le forze politiche misureranno sé stesse – e la loro forza rispetto ai principali competitor – senza alcun vincolo di coalizione, è pur vero che nelle immediate e future tornate elettorali sul territorio nazionale non sembrano esserci scenari favorevoli ai progressisti se non c’è unione tra il giallo e il rosso.

Una differenza sostanziale risiede nella differente organicità e solidità delle coalizioni (e possibili coalizioni). Il centrodestra agisce sempre come un blocco unico e, nonostante le differenze che si possono presentare, è una coalizione che non si sfalda mai. Al di là delle differenze, infatti, il centrodestra mostra sempre una coerenza d’intenti e una base valoriale condivisa. C’è la difesa dell’identità nazionale, c’è la centralità della famiglia, i valori tradizionali, l’idea che le tasse sono troppo alte piuttosto che i servizi pubblici troppo scarsi. Il nucleo c’è e l’obiettivo che lega questi partiti è, nella maniera più logica e razionale possibile, la ricerca del potere. E non c’è assolutamente nulla di male in questo: i partiti nascono e si sviluppano con l’obiettivo di ottenere quanto più consenso e potere possibile. Gli stessi elettori del centrodestra sono per lo più consci di questa necessità e che, al di là delle differenze, sono probabilmente più i punti in comune che quelli di contrasto.

Dall’altra parte dello scacchiere, Movimento 5 Stelle e Partito Democratico sono in una fase ben diversa, dove il sodalizio non è ancora radicato e le anime dei due schieramenti sono irrequiete. È un problema sia delle strutture interne, sia delle basi elettorali. In un passato non troppo lontano, pentastellati e dem non perdevano occasione di aggredire l’altro. Non solo il partito, ma anche l’elettore dell’altra parte. Fin dal 2013, il Movimento e il Partito Democratico hanno lottato per diventare il punto di riferimento nella difesa e tutela dei diritti sociali. In questo, probabilmente il Movimento 5 Stelle ha avuto la meglio, specialmente con l’incoronazione di Giuseppe Conte leader pentastellato e due volte primo ministro, ora con la Lega, ora con lo stesso Partito Democratico. Tra reddito di cittadinanza e maggior veemenza nel portare avanti una lotta per il salario minimo, la formazione di Conte è riuscita a prendersi una fetta importante del campo progressista. L’arrivo di Schlein alla segreteria del PD ha però rimescolato le carte in tavola: le primarie hanno sovvertito il volere della cuspide (che reclamava Stefano Bonaccini come nuovo segretario) e hanno avvicinato improvvisamente i due partiti d’opposizione.

L’allineamento tra PD e M5S

Movimento 5 Stelle e Partito Democratico hanno trovato una convergenza sullo scacchiere ideologico della politica italiana. Entrambi spostati verso sinistra, hanno di fatto lasciato il centro. Questo implica una maggior competitività in uno spazio più stretto. È questo il dato chiave da tenere in considerazione: Movimento 5 Stelle e Partito Democratico parlano, in questo momento, a (quasi) le stesse persone. Le correnti interne del PD puntano a riavvicinarsi al centro, questo è vero, ma Schlein è un profilo troppo schierato per poter cogliere l’attenzione dei moderati. Allo stesso modo, Giuseppe Conte ha marcato una linea progressista fin dal suo secondo mandato a Palazzo Chigi. Una linea mantenuta, almeno a parole, fino a quest’oggi.

L’unica via

Allora, rivolgendosi a un pubblico elettorale simile e affine, e considerata l’attuale aritmetica della politica italiana, non ci sono alternative, per Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, se non quella di ricucire lo strappo. L’eventuale ingresso delle forze centriste e liberali all’interno del campo largo potrebbe portare solo ad una diluizione dell’organicità e coerenza della coalizione. E se con Azione, Italia Viva e +Europa (i principali partiti di centro) le difficoltà di dialogo sono propriamente valoriali e programmatiche, per quanto riguarda le frizioni tra M5S e PD sono per lo più legate a dinamiche concrete sui territori, al toto-nomi e alla difficile intesa sul una ripartizione dei meriti (o dei demeriti) e del potere. Gerarchizzando, gli elementi di convergenza tra i due principali partiti di opposizione superano quelli che vorrebbero un riavvicinamento dei democratici a posizioni centriste, puntando ad un’alleanza con un gruppo di partiti dal minor peso specifico.

Sicuramente si potrà affermare che in democrazia esistono anche i governi di minoranza e che trovano in altri partiti, esterni, delle stampelle per il proprio esecutivo. Nel caso italiano, però, M5S e PD sono talmente vicini – almeno in questo momento – che sembra impossibile, per l’uno o per l’altro, non reclamare la propria fetta della torta. Infine, si esclude qui la possibilità di pensare a due partiti che vanno completamente soli per la propria strada o anche a coalizioni non maggioritarie (esempio del PD + gruppo centrista). L’attuale legge elettorale ha dimostrato che, senza una coalizione forte, la vittoria (ovvero, la maggioranza parlamentare) è utopia.

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L'autore: Alessandro Faggiano

Caporedattore di Termometro Sportivo e Termometro Quotidiano. Analista politico e politologo. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi di Salerno e con un master in analisi politica conseguito presso l'Universidad Complutense de Madrid (UCM).
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