I panni scomodi di Letta – Jo Condor

Pubblicato il 19 Settembre 2013 alle 19:12 Autore: Gabriele Maestri

L’azienda di Alba ha schierato i personaggi della serie più riuscita: il Gigante Amico (antenato del nonno di Heidi, nella versione anime che sarebbe nata nel 1973, due anni dopo la pubblicità) e, soprattutto, Jo Condor. E se i buoni stancano e i cattivi piacciono, le battute paciose del barbuto gigante sono scemate dalla memoria, quelle mitiche e fulminanti di Jo Condor sono rimaste.

Vale dunque anche per Enrico Letta, che però sbaglia la citazione: la sua memoria gli propone “Non c’ho scritto Jo Condor in testa”, quando l’originale era “E che, c’ho scritto Jo Condor?”. Era stato il creativo torinese Romano Bertola a inventare – pensando a Joe il pilota, un film di Spencer Tracy – il personaggio che poi sarebbe stato affidato alle mani esperte di Sergio Toppi e Gianfranco Barenghi, sotto la supervisione di Toni Pagot (lo stesso che. col fratello Nino, aveva creato Calimero, un’altra star di Carosello).

Jo Condor

Un vero fuoriclasse, Bertola, un fantasista della battuta inossidabile: lo stesso, per capirsi, che nel 1982 avrebbe sfornato insieme a Corrado e Stefano Jurgens il tormentone televisivo di Carletto (“E io che sono Carletto / l’ho fatta nel letto, l’ho fatta nel letto”). Non stupisce che sia sua la firma dei claim dell’antica serie Ferrero, compreso “E che, c’ho scritto Joe Condor?” (gli diede anche voce, dopo il forfait di Alighiero Noschese per un raffreddore). Bertola lo trasse da un’espressione piemontese “Non ho scritto ‘giocondo’ in fronte”, che equivale a negare di essere scemi.

La battuta si dice pure in Toscana, cosa che forse ha ingannato Letta. Nel suo negare di avere scritto Jo Condor in testa, il capo del governo non voleva dire di non essere stupido (non lo è di certo, essendo nipote del più abile tessitore di rapporti politici del paese), ma tentava di tirare fuori una volta per tutte il suo esecutivo dalla scomodissima posizione di punching ball lamentata prima. Un modo meno istituzionale per dire che il suo non è un governo “a tutti i costi”, strattonabile dal primo che passa.

Jo Condor (dettaglio)

Certo è che l’evocato paragone con Jo Condor ha i suoi lati scomodi. L’uccellaccio dal becco appuntito, assieme al suo nerissimo assistente Secondor, veniva sempre a turbare la vita di un “paese felice” non precisato. “Ma si oscura la vallata / c’è Jo Condor in picchiata!” era il distico immancabile prima della distruzione (della mongolfiera, del tetto della scuola, della stella del presepe): distruzione sempre riuscita, con la soddisfazione servile di Secondor “Bacio le medaglie Comandante, aveeeete colpiiiito ancoooora!”

Ora, l’Italia ha smesso da tempo di essere un “paese felice”, ma che Letta abbia vestito anche solo per un attimo i panni di Jo Condor lascia per lo meno perplessi: passi per gli occhiali che sembrano essere perfettamente contenuti negli occhi del cattivissimo volatile, ma l’idea di un capo del governo che a ripetizione compie distruzioni qua e là, con tanto di mirino montato sul becco (e chi è Secondor? Alfano? Saccomanni?), rischia di essere un assist per le denigrazioni degli avversari (compresi i falchi Pdl).

Anche perché, alla fine di ogni avventura, Jo Condor viene punito e umiliato. Immaginare Enrico Letta in caduta libera che prorompe in un “Ma mi lasci, non c’ho il paracadute, non c’ho la mutua” può essere simpatico (se accentuasse la “c” toscana gli verrebbe divinamente); in compenso, per raddrizzare i danni dell’Italia – compresi quelli generati ben prima che Letta entrasse in carica – non arriva nessun Gigante Amico. Nemmeno se ci si mette tutti in coro a cantare “Gigaaaanteeee / pensaci tuuuu!”

 

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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