Salvatore Settis insegna come comunicare l’arte di quattromila anni fa

Pubblicato il 13 Settembre 2014 alle 16:22 Autore: Clara Amodeo
salvatore settis

Noto ai più per la sua recente opposizione alla sgarbiana proposta di trasferire i bronzi di Riace a Milano in vista di Expo, Salvatore Settis è, per gli intenditori, uno dei massimi storici dell’arte antica in Italia e nel mondo.

A Camogli racconta come sia possibile che un patrimonio culturale che si colloca storicamente così lontano nel passato sia giunto fino a noi, nonostante le alterazioni che duemila anni di Storia hanno portato con sé. I primi a parlare di arte sono infatti i Greci, seguiti dai Romani che ne offrono un compendio; nel Rinascimento nessuno sa differenziare l’arte greca da quella romana dal momento che la caduta del mondo antico comporta la perdita degli originali in marmo e dei bronzi, ma la situazione precipita nell’Ottocento quando, in mancanza dei sopralluoghi in Grecia, Roma era l’unico luogo in cui gli studiosi si dirigevano; tuttavia agli inizi dell’Ottocento l’importazione dei marmi del Partenone a Londra e dei marmi di Egina a Monaco entrano nel dibattito tra greco e romano in modo prorompente, ed è Winkelmann a offrire una narrazione della storia antica dominata dai Greci; da questo momento in poi molto saranno gli errori di valutazione dell’arte classica, che passeranno per canoni ideali quali il candore, il bianco, l’immutevole e la staticità.

bronzi di riace

Ma nuove scoperte, nel frattempo, sembrano minare le certezze winkelmanniane: il frontone di Olimpia comporta uno shock conoscitivo per quegli studiosi che conoscevano solo le statue di Roma e quelle di cui parla Plinio. Questa presenza di nuove sculture, originali perchè da scavo, ma senza autore, è un elemento di disturbo e sconvolgimento del quadro storico: il valore del classico di Winkelmann viene sbalzato dal valore di originale e il valore del frammento diventa carattere essenziale della modernità.

E oggi cosa significa classico? A Roma apparteneva al linguaggio fiscale dove il classicus era colui che pagava le tasse, ma il termine scompare fino al Quattrocento e ha una grande diffusione attraverso la letteratura. Oggi, forse, è il caso di spiegare l’arte classica comparandola a culture a noi totalmente differenti, come nel caso degli indiani Hopi: solo così si potranno scoprire affinità e novità prima d’ora inedite.

Clara Amodeo