Con il referendum in Scozia trema anche l’Europa

Pubblicato il 15 Settembre 2014 alle 19:00 Autore: Giovanni De Mizio

Si apre la settimana del referendum in Scozia, che potrebbe sancire la fine, dopo tre secoli, dell’unione del Regno Unito. Si tratta di una consultazione interessante per alcune conseguenze che potrebbe avere su un’altra Unione, quella Europea.

Innanzitutto bisogna ricordare che il fronte del No ha avuto buon gioco a dire agli scozzesi perché non dovrebbero uscire dal Regno Unito (banche che scappano, problemi di politica monetaria e altri casini economici e non), senza però dare, per diversi mesi, motivi per rimanere all’interno del Regno Unito. Ciò ha permesso al primo ministro Salmond, leader degli “aye” all’indipendenza, di difendersi anche di fronte a problemi effettivamente insormontabili, come la questione della moneta: si consideri che l’adozione della sterlina comporterebbe una perdita, e non un guadagno, di indipendenza, poiché la sterlina e relative politiche economiche sarebbero in mano a gruppi di persone fra i quali non ci sarebbero più scozzesi, a differenza di quanto accade oggi.

Qualcosa di simile accade per l’Europa: anche qui le ragioni per non uscire sono soverchianti, però la politica europea non sta dando ragioni per rimanere in questa Unione, con il risultato (lo si vede nelle ultime e anche penultime elezioni) che le forze centrifughe dei partiti anti-europeisti, spesso anche xenofobi, finiscono per condizionare le politiche nazionali e quindi continentali favorite da una UE inefficiente, burocratica e, talvolta, stupidamente dannosa, che finiscono per gettare nell’ombra i vantaggi dell’Europa e dell’euro.

Cameron

È sufficiente aprire un giornale a caso per rendersi conto della situazione che si è venuta a creare: i governi nazionali di molti Paesi, specie della periferia, continuano ad essere bloccati nelle riforme sia da opposizioni interne populiste sia da quelle rigoriste in seno all’Unione Europea. Si consideri che alcuni ruoli chiave sono stati affidati a ben noti falchi dell’austerità, lasciando intravedere che un momento “Scozia” è crescentemente possibile in Europa: continuare sulla strada sbagliata rischia di rendere l’uscita dall’euro (e dalla UE, se necessario) catastrofica quanto il rimanerci, aumentando le pressioni per l’”indipendenza”. L‘unica differenza è che la Scozia è in un Regno Unito che non sta poi tanto male, per questo la vittoria degli “yes” rischia di essere molto tafazziana.

Ciononostante la vittoria dell’indipendenza galvanizzerebbe altri movimenti indipendentisti, rendendo sempre più importanti le forze centrifughe all’interno d’Europa, aumentando enormemente il caos. Si consideri, ad esempio, che a novembre sarà al Catalogna a votare un referendum (illegale secondo Madrid) che vorrebbe rendere indipendente una regione fondamentale per l’economia della Spagna, che rischierebbe di risprofondare nel baratro se perdesse la sua zona più dinamica.

La crisi continua, e anche eventi teoricamente lontani, come un referendum ai confini del Continente, devono essere seguiti perché il nostro termometro misuri correttamente la temperatura di questa febbre pericolosa.

L’agenda macroeconomica prevede per martedì l’indice ZEW che dovrebbe confermare un peggioramento dell’”ottimismo” tedesco, che dovrebbe scendere a 40 punti. Mercoledì è attesa la nuova lettura dell’inflazione europea, che dovrebbe essere confermata al livello anemico di 0,3 per cento su base annua (0,9% nella componente core). Stessa misura verrà rilasciata per gli USA, dove però la lettura attesa è per un 1,9 per cento, nei pressi del target. La giornata sarà però monopolizzata dalla Fed, che dovrebbe decidere di tagliare il suo piano di acquisti di ulteriori 10 miliardi di dollari, prima dell’ultimo taglio, previsto per fine ottobre, che chiuderà la tipografia, in attesa di tassi in rialzo nel 2015.

Giovedì si vota in Scozia; dagli USA, oltre ai jobless claims attesi sempre in area 300 mila, leggeremo anche i report sul mercato immobiliare, in particolare i permessi di costruzione, che dovrebbero confermare la stabilità del mercato. Atteso anche l’indice della Fed di Philadelphia, che dovrebbe registrare produzione manifatturiera in miglioramento, anche se con forza inferiore rispetto alla precedente rilevazione.