ESCLUSIVA Di Trapani (Usigrai) “Sciopero sospeso ma il taglio di 150 milioni è illegittimo”

Pubblicato il 6 Giugno 2014 alle 13:16 Autore: Gabriele Maestri
rai

Sciopero sì, anzi no. L’Usigrai ha deciso di sospendere l’agitazione inizialmente proclamata per la prossima settimana, ma i problemi sul tavolo rimangono tutti. La speranza che, in un clima di maggiore dialogo tra sindacati, governo e azienda, possa uscire qualcosa di buono per l’azienda televisiva di servizio pubblico non fa chiudere in un cassetto l’allarme per quel taglio di 150 milioni che rischia di avere conseguenze sensibili sulla Rai.

Pur avendo sospeso lo sciopero, infatti, il sindacato dei giornalisti interni all’azienda resta convinto che la scelta del governo sia illegittima e che i vertici Rai avrebbero dovuto proporre ricorso, piuttosto che pensare di vendere quote di Rai Way. Dei timori e delle speranze dell’Usigrai parla il segretario Vittorio Di Trapani: “Sogno una Rai 3.0, libera dai partiti che finora ci hanno impedito di dare un servizio migliore”.

Vittorio Di Trapani (Usigrai)

Di Trapani, l’emendamento che taglia 150 milioni di euro alla Rai è stato approvato. Cosa contestate esattamente al governo?

La nostra contestazione è nel metodo e nel merito. Per quanto riguarda il merito, riteniamo che imporre alla Rai un taglio di 150 milioni, per di più a esercizio finanziario iniziato, voglia dire mettere in grave difficoltà i conti economici della Rai, così come è stato detto anche dalla presidente Tarantola in Commissione parlamentare di vigilanza. Un taglio di 150 milioni imposto dal governo, senza che lo stesso risponda alla domanda fondamentale, la prima cui un esecutivo deve rispondere: quale servizio pubblico vuole per il paese.

Quanto al metodo?

Per noi gli introiti da canone sono soldi che i cittadini pagano per il servizio pubblico e non possono essere dirottati su altri fini. Si tratta di un atto illegittimo e non lo sosteniamo solo noi come Usigrai: lo conferma il professor Alessandro Pace, in un suo parere sulla legittimità dell’operazione. Aggiungo che la stessa cosa è stata confermata di recente anche dall’Ebu, l’associazione dei servizi pubblici europei: ha scritto al presidente della Repubblica Napolitano e al presidente della Commissione di vigilanza Fico, dicendo che un taglio così fatto mette a repentaglio la libertà e l’indipendenza del servizio pubblico.

Perché secondo voi il governo ha agito così? I maligni potrebbero pensare che ce l’ha con la Rai…

Sul perché l’ha fatto, francamente non sono in grado di rispondere. Prendo atto che l’ha fatto, ritengo che sia un errore nel merito e nel metodo, come ho detto. Mi auguro che finalmente il governo risponda a quell’unica domanda sul servizio pubblico: dopo giornate di forte scontro si è aperto finalmente il dialogo. Il governo ha accettato ciò che l’Usigrai aveva chiesto: anticipare di due anni la concessione di servizio pubblico rispetto alla scadenza del 2016, riformare il canone per combattere l’evasione di 500 milioni di euro, introdurre norme che finalmente rottamino partiti e governi dal controllo della Rai. Ci auguriamo che un governo che si dice riformatore passi rapidamente dalle parole ai fatti, calendarizzando rapidamente in Parlamento un disegno di legge su questi punti.

Obiettivamente però qualche problema in casa Rai rimane: lo stesso governo ha ricordato che come altri hanno fatto sacrifici, anche la Rai li deve fare.

La Rai dei sacrifici li ha già fatti. Ricordo che due anni fa questa azienda chiuse un bilancio in rosso di 240 milioni. Se in quest’anno il bilancio si è chiuso in sostanziale pareggio, lo si deve ai sacrifici che le lavoratrici e i lavoratori della Rai hanno saputo fare. Detto ciò, si può rendere quest’azienda ancora più efficiente? Assolutamente sì: da anni l’Usigrai per prima chiede una profonda riforma e riorganizzazione dell’azienda, per renderla più efficiente soprattutto per i cittadini, per offrire loro un prodotto di qualità migliore.

Stiamo comunque parlando di un “pachiderma”, quanto al personale: una cura dimagrante non servirebbe?    

Domandiamoci: “pachiderma” rispetto a cosa? Se faccio il confronto tra la Rai e gli altri servizi pubblici europei, la Rai si mostra ben più piccola (specie in termini di dipendenti e di canone), ma con risultati migliori in termini di ascolto, è la tv pubblica con gli ascolti maggiori. Per parlare di pachiderma occorre chiedersi rispetto a chi, a cosa e per fare cosa: in ogni caso, siamo noi i primi a chiedere di rendere migliore la Rai.

Come?

Noi vorremmo costruire una Rai 3.0, una Rai multipiattaforma, crossmediale, che permetta di offrire ai cittadini finalmente un prodotto di migliore qualità.

Operativamente come si potrebbe fare?

Insisto nel dire che come prima cosa il governo dovrebbe dire che servizio pubblico vuole per il paese. Deve discutere di questo e non solo con chi lavora in azienda, ma anche in un grande dibattito pubblico aperto a tutti i cittadini. Fissati gli obiettivi del servizio pubblico, saranno poi azienda e sindacati nel confronto a costruire un’organizzazione interna diversa e migliore.

Certamente la Rai ha il problema a due facce di valorizzare adeguatamente le risorse interne e di calibrare meglio le esternalizzazioni. Che ricetta propone l’Usigrai?

Crediamo si debba fare una revisione della spesa molto attenta, per capire quali appalti sono realmente necessarie e quali no, quali sono iperpagati e quali no. Occorre un intervento serio sulle collaborazioni, sulle consulenze, sulle produzioni esterne. Si dovrebbe riportare all’interno gran parte della produzione, ricominciando a valorizzare appieno le tantissime professionalità eccellenti che ci sono in azienda e chiudendo così la stagione troppo lunga in cui queste – vale per i giornalisti e non solo – sono state marginalizzate. Si torni dunque a investire sul patrimonio di professionalità interna: da lì può partire una rifondazione della Rai.

Sulla vicenda Raiway è stato lanciato da molti un campanello d’allarme: c’è ancora, secondo lei?

In fase di conversione del decreto è sparita la possibilità, da parte del governo, di imporre la vendita di quote di maggioranza: questo è sicuramente un fatto positivo. Resta la preoccupazione per la vendita di quote di minoranza: la vendita fatta in questo momento solo per fare cassa – cioè per recuperare quei 150 milioni – e senza un’idea strategica per il paese sul tema delle torri di trasmissione è un errore.

Mi pare di capire però che anche la dirigenza Rai non veda molte alternative…

Nel momento in cui il governo impone a metà esercizio quel taglio, per recuperare 150 milioni le vie non sono molte. Questo è il motivo per cui riteniamo che la dirigenza aziendale – il consiglio di amministrazione e il direttore generale – prima ancora di valutare come trovare i soldi, avrebbe dovuto e ancora dovrebbe annunciare un ricorso contro quello che pensiamo ancora essere un atto illegittimo.

Chi ha messo meno saggezza in questa partita, finora?

Sicuramente il governo che impone un taglio senza aprire prima una riflessione sul servizio pubblico in Italia. Eppoi il direttore generale che, senza chiedere all’azionista della Rai quali sono i suoi progetti, ipotizza la vendita di quote di minoranza di Rai Way, un nuovo piano industriale, il ridimensionamento del servizio pubblico e interventi sui livelli occupazionali. Questo è un errore grave, mentre il direttore avrebbe dovuto proporre al cda immediatamente di fare ricorso contro un atto illegittimo.

Per la Rai c’è ancora speranza di uscirne senza danni?

Io spero di uscire da questa vicenda con una Rai migliore. Noto che in questi giorni finalmente il dibattito politico ha messo al centro temi fondamentali come la riforma della Rai, la concessione di servizio pubblico anticipata, la riforma del canone e il tenere fuori i partiti dalla Rai. L’Usigrai li ha posti da tempo e ora sono diventati patrimonio comune, dopo che per tanto tempo partiti e governi ci hanno impedito di costruire una Rai migliore.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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