Il racconto di Giulia – La paura

Pubblicato il 9 Marzo 2020 alle 17:03
Aggiornato il: 12 Marzo 2020 alle 16:24
Autore: Nicolò Zuliani

Storie da un boudoir in Svizzera

Il racconto di Giulia – La paura

Giulia ha labbra sottili e tatuate, un naso troppo sottile per essere suo, una quinta abbondante e un fisico curato, con capelli tinti di rosso che trascura da qualche giorno e occhi castani. Sul divano sta a gambe incrociate e occhi bassi, schiena troppo rilassata perché sia disagio. Parla mentre passa uno smalto rosso fuoco sulle mani con gesti lenti e precisi. Gli altri sono seduti sulle poltrone o sul tappeto, mentre alle loro spalle Xeni finisce di agitare l’ultimo White lady. Elettra ha deciso il tema del giorno: la paura.

«Una storia DI paura o SULLA paura?» aveva chiesto Guido.
«Di paura ne abbiamo già tanta. Dico storie a proposito della paura.»

«Nel 1986, quando avevo 16 anni, l’Italia era diversa. Così tanto che non ci credereste nemmeno a viverci dentro. Lo so che ci sono le foto, le canzoni, i film… ma era la gente, a essere diversa. L’atteggiamento, come si trattavano per strada, come affrontavano i problemi.»

«Che razza di inizio è?» interrompe Gaia «Se è una storia comincia con c’era una volta.»

«C’era una volta, una trentina di anni fa, a nord di un’Italia diversa, una famigliola per bene. Vanno a messa ogni domenica alle nove, hanno una figlia sola, Katia, che hanno cresciuto con il bastone e poche carote. Appena mette piede all’università, Katia capisce l’ipocrisia dei genitori e del loro mondo, decide che il mondo va cambiato tutto, e abbraccia le battaglie sociali.

Per le donne, per il clima, per i discriminati, per le minoranze. C’erano più scopate che scioperi, a dire la verità, e forse più canne che traguardi, ma è il periodo più bello della sua vita. Perché non ha paura di sbagliare, perché sono tutti come lei, perché… perché è così, quando hai quell’età.

Poi l’università finisce e Katia si trova da sola; i compagni di lotta sono sparsi in giro per l’Italia, non si sentono più, tutti i discorsi e le battaglie e gli scioperi scompaiono. Ha 29 anni, l’orologio biologico non esiste ma ha i rintocchi che ti tengono sveglia la notte. Dal piano A arrivi al piano Z così in fretta che pare un vuoto d’aria. Katia se la cava, però, perché sposa un commercialista brillante, gran cervello e gran talento.

La vita è di nuovo bella, la paura non c’è più, frasi e battaglie sono finite nei cassetti coi maglioni che non butti né metti. Fa la casalinga, ha un figlio, lo porta a scuola col SUV, passa il tempo con palestra, amiche borghesi, qualche amante giovane, settimane bianche… insomma, una bella vita.

Solo che la paura ti resta, è una compagna che devi tenere in conto.

E per farla stare zitta devi darle da mangiare sempre più cose. Oggetti, gioielli, status symbol. Se la tua amica ha una cosa tu devi averla migliore, e so che non ci credete, ma in certi locali o alberghi di Cortina è meglio non presentarsi, piuttosto che presentarsi con una borsa vecchia. Se sei ricco hai gli stessi problemi di un povero, solo con due o tre zeri di più.

Poi arriva il 2008.

C’è la crisi, ma se sei una casalinga non la capisci. Tuo marito ha il solito lavoro, guidi la solita macchina, vedi la solita gente, vai nei soliti posti, bevi il solito vino. Poi lui torna sempre più tardi, sempre più stressato, sempre più scorbutico. Ma tu non capisci, anzi, diventa ancora più fastidioso doverci avere a che fare, mentre Katia vorrebbe solo stare tra le braccia di quei ragazzi giovani che le ricordano l’innocenza, le battaglie e gli ideali di quando aveva la loro età, alternandoli a una vita bella, felice e piena di soddisfazioni.

Un giorno lui le dice delle parole che non ha mai sentito prima: non ce lo possiamo permettere.

Katia vuole di più del solito, come al solito. Invece ha meno. E lei se la prende con lui, lo insulta, e lui per riuscire a tenere unita la famiglia fa debiti, non paga imposte ricevute dai clienti, finché arriva la Guardia di Finanza. Arrivano all’alba, contemporaneamente nel suo studio e a casa. Sequestrano tutto, sigillano tutto. Niente più guardaroba di quaranta metri quadri, niente più macchina, niente più conto corrente. Tutto bloccato.

Katia prova una paura che non ha mai provato prima.

Avete paura del virus, del contagio. Voi non avete mai avuto paura di non poter comprare da mangiare per vostro figlio. Non avete mai avuto il terrore di non avere un tetto sopra la testa, non avete mai provato il gelo di telefonare a tutti i numeri nella vostra rubrica senza che nessuno, nessuno risponda. Amiche, amici, amanti, soldi, case, tutto quello che date per scontato, scompaiono in 12 ore.

Tuo figlio ti odia, perché l’avevi abituato a un certo stile di vita, gli hai dato amici figli dei tuoi amici, che ora non vogliono nemmeno incrociarti per strada. Katia va a vivere a casa dei genitori di lui, e a natale del 2010, mentre dorme su un divano dell’Ikea si sveglia per le urla della vecchia madre, che ha appena trovato il marito di Katia impiccato nella stanza dove giocava da bambino.

Lei però è ancora bella.
Invecchiata, sì, ma non si è mai trascurata.

La vedova affranta ha il suo fascino, e una volta morto il capro espiatorio resta il dramma, cosa che attrae le altre donne come i chiodi una calamita. Povera cara, le dicono. Chissà cos’hai passato. I conti vengono sbloccati, lei ha una boccata d’aria, conosce i posti giusti e riesce a farsi agganciare da un avvocato divorziato, che però non è nemmeno remotamente vicino al reddito che le garantiva il primo marito, inoltre ha un problema serio: la picchia.

Che deve fare Katia, a cinquant’anni, per avere lo stile di vita che le toglie la paura? Decide che dopo una vita attaccata alla giacca degli uomini, è ora di attaccarsi a qualcos’altro. E così eccola qui, in un bordello svizzero, circondata da gente che dice di avere paura, ma della paura non sa niente.»

«Bella storia» annuisce Elettra «Chi è il prossimo?»
«Posso io?» dice Jackson, unico nero del gruppo.
«Tu non c’entri» fa Guido.
«Perché no?» fa Elettra.
«È il mio autista.»
«Qui dentro siamo tutti uguali» tuona Francesca «Avanti, sentiamo la tua storia.»
«Prima posso avere un altro…?»
«White lady» annuisce Xeni, alzandosi e raggiungendo il mobile bar.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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