Rajoy obbedisce a Berlino, ma rischia il tracollo

Pubblicato il 30 Maggio 2012 alle 16:04 Autore: Enrico Peroni

Trionfi rossi e azzurri.

Felipe Gonzalez, socialista, vinse le elezioni politiche del 1982 con un maggioranza assoluta ampissima. Nel 2011 Mariano Rajoy, popolare, ha vinto con una maggioranza molto simile. Queste due elezioni sono entrambe marcate da un forte legame tra Madrid e la Germania, tra la capacità di guida europea della SPD e della CDU in diverse epoche storiche.

L’SPD aiuta i socialisti mediterranei: perché?

Nella seconda metà degli anni ’70 il socialdemocratico Schmidt reggeva un governo di coalizione con i liberaldemocratici a Bonn. Erano anni difficili, come gli attuali, dove iniziava a nascere una critica al complesso ideologico socialdemocratico-keynesiano, a quell’epoca ancora paradigma in Europa (anche dove governavano i conservatori o i liberali).
In questo contesto il ruolo dell’SPD tedesca era particolarmente importante e per diverse ragioni Brandt ed i suoi uomini vollero fortemente sostenere i partiti socialisti dei Paesi mediterranei che uscivano dalle dittature fasciste. Le ragioni sono facilmente comprensibili. La prima fu di ordine ideologico: la fiducia dei socialdemocratici tedeschi di esportare il proprio modello di sviluppo nel mediterraneo. La seconda, invece, fu di ordine geopolitico: evitare la crescita ed il rafforzamento dei comunisti in questi Paesi, cosa che avrebbe portato a cortocircuiti pericolosi. La crescita dei partiti comunisti era una preoccupazione soprattutto del Segretario di Stato americano dei primi anni ’70 Henry Kissinger, spesso criticato perché troppo preoccupato dalla presunta forza dei partiti filosovietici nel mediterraneo. In realtà, probabilmente, se non ci fossero stati i marchi tedeschi (che arrivavano attraverso la Fondazione Friedrich Ebert Stiftung) a finanziare il PSOE, PSP e PASOK la crescita dei partiti comunisti sarebbe stata maggiore, anche perché durante le dittature franchista, salazarista e dei Colonnelli l’unica vera opposizione organizzata interna al Paese era quella di PCE, PCP e PCG (i partiti comunisti).
La terza è invece la piú importante ed è di ordine economico. Riuscire ad integrare questi tre Paesi nel contesto della CEE avrebbe fornito nuovi mercati all’imprenditoria tedesca. Per offrire nuovi mercati alle merci tedesche era necessario dare la possibilità agli spagnoli di comprarsi i prodotti tedeschi. Per fare questo l’ingresso spagnolo nel mercato comunitario doveva sposarsi con politiche (del Governo iberico) volte ad aumentare la domanda interna. La costruzione di un poderoso stato sociale andava esattamente in questa direzione.

Socialisti al governo: lo stato sociale.

Arrivati al potere, i socialisti spagnoli (ed anche quelli greci mentre il Portogallo fu governato per quasi tutti gli anni ’80 dal PSD, partito conservatore), si comportarono nella maniera desiderata dai “compagni” tedeschi (anche se a Bonn ormai era arrivato stabilmente Helmut Kohl). Il faro dei governi di Gonzalez – almeno fino al 1992 – fu quello di costruire uno stato sociale perfetto, strutturato ed estremamente grande, fondato su tre pilastri: sanità, istruzione ed assistenza sociale. Il problema è che nel medesimo periodo, per ottemperare alle richieste comunitarie, fu notevolmente indebolito il tessuto industriale spagnolo e piú in generale non si tenne adeguatamente conto dell’effetto combinato della terziarizzazione dell’economia e della contemporanea costruzione di un sistema sociale che il resto d’Europa aveva realizzato in epoca di pieno fordismo.

Angela Merkel, il tempo del rigore.

Oggi, nuovamente, un cancelliere tedesco ritorna ad influenzare pesantemente la politica interna spagnola, imponendo il rigore a prescindere. Angela Merkel ha già preteso che venga inserito il pareggio di bilancio in Costituzione quando alla Moncloa (sede del governo spagnolo) c’era ancora Zapatero. Ma soprattutto ha preteso, da quando governano i popolari, di far leggere agli esperti della CDU prima ancora che al Parlamento spagnolo i documenti relativi al piano di riassestamento di bilancio, ossia una versione iberica del “Salva-italia”, con nuove tasse, tagli del 7% nella sanità e del 22% nell’istruzione. La politica del rigore in Spagna, peró, rischia di portare alle stesse conseguenze greche, cioè una spirale di tagli senza alcun recupero della fiducia nei mercati.

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