Le responsabilità di Ankara nel conflitto siriano

Pubblicato il 17 Settembre 2012 alle 19:27 Autore: EaST Journal
ankara e la siria

Le responsabilità di Ankara nel conflitto siriano

Le proteste scoppiate in Siria contro il regime di Bashar al-Assad a metà marzo 2011 si sono trasformate, nell’arco di un anno e mezzo, in una cruenta guerra civile. Le stime delle vittime sono varie, ma si può certamente parlare di un numero totale intorno ai 20 mila morti, di circa 150 mila i rifugiati in altri paesi (Turchia, Libano e Giordania) e tra gli 1 e i 2 milioni di sfollati. Chi sarebbe potuto intervenire politicamente in maniera più convinta per evitare una tale escalation? Molteplici sono gli attori internazionali interessati dalle evoluzioni della crisi siriana; ma la Turchia più di tutti partiva da una condizione favorevole che non ha saputo sfruttare. Come mai?

Il conflitto siriano è molto più di una guerra civile. La Siria rappresenta la chiave di volta dello status quo medio-orientale, forse l’ultima vera pedina della Guerra Fredda. Per questo la sua (in)stabilità è oggetto di attenzioni a livello globale.

Isolare Teheran

Nell’amministrazione americana di Obama sono in molti a sperare (e forse nascostamente anche ad agire) che il regime di Bashar al-Assad cada, privando l’Iran di un fedele e prezioso alleato. Teheran si troverebbe così ancora più sola e più debole nella sua retorica anti-occidente e nel suo progetto di sviluppo dell’arma atomica. Un tale scenario sarebbe ben visto anche da Israele, i cui piani di attacco preventivo ai laboratori dove l’Iran sta lavorando all’arricchimento di uranio sono stati di recente oggetto di un clamoroso ‘leak’.

I timori di Mosca

La Russia è sostanzialmente contenta dell’attuale status quo. Per questo usa il suo potere di veto al Consiglio di Sicurezza Onu contro qualsiasi iniziativa di maggiore incisività. Rischia di perdere l’unica base della sua marina militare rimasta in un mare caldo e al di fuori del territorio russo (Tartus in Siria appunto); rischia un contagio di estremismo settario sunnita in caso di ricostruzione post-bellica come accaduto in passato in Afganistan e Cecenia; potrebbe rischiare la perdita del monopolio di forniture di gas all’Europa qualora l’Iran, in posizione più debole, decidesse di venire a patti con l’Occidente intavolando qualche forma di collaborazione economica.

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Gli interessi sauditi

Arabia Saudita e Qatar sono i veri finanziatori militari dell’Esercito Libero Siriano. Sunniti ultra-ortodossi (wahhabiti) vedono nella Siria una tappa della loro campagna contro gli ‘infedeli’ sciiti, oltre che l’opportunità economica di far crescere il prezzo del greggio data l’instabilità dell’area.

La Turchia cerchiobottista

Nel mezzo di queste posizioni ed interessi si trova la Turchia. È il paese che sta soffrendo di più il problema dei rifugiati (70 mila); ha perso due militari dell’aeronautica, anche se gli stessi turchi non hanno idea di come e chi li abbia abbattuti; hanno subito un danno di immagine politica a causa della scarsa considerazione degli alleati e degli organismi internazionali, come dimostrano la blanda condanna Nato per l’abbattimento di un caccia di un paese membro e la scarsa convinzione con cui gli Usa hanno inoltrato all’Onu la proposta turca di istituire una zona cuscinetto in territorio siriano al fine di dare assistenza ai rifugiati. Eppure per ragioni storiche, economiche e politiche, senza considerare l’amicizia che legava il primo ministro turco Erdogan ed il presidente siriano al-Assad, la Turchia era la principale candidata ad un ruolo di mediazione tra le parti in conflitto. Non a caso l’opposizione siriana (Syrian National Council) da subito ha fatto di Istanbul la sua base.

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L'autore: EaST Journal

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