Le murder ballad di Bruno Vespa

Pubblicato il 31 Ottobre 2011 alle 09:00 Autore: Matteo Patané
bruno vespa

Il XXI secolo si è aperto come il secolo della paura. Che si tratti di guerra e terrorismo o di semplici delitti di paese, i temi di cronaca nera hanno via via scalato la scena mediatica entrando prepotentemente nelle case e nella mente di persone sempre più smarrite e spaventate.
Politici con pochi scrupoli hanno scelto di fondare la propria carriera vivendo quasi di rendita sul controllo e sulla manipolazione della paura della popolazione e del conseguente bisogno di sicurezza e protezione, ergendosi di volta in volta a paladini della sicurezza, a guardiani dei confini nazionali, a moralizzatori dei costumi e della società… e così facendo avviando percorsi di evoluzione sociale spesso sorprendenti e inaspettati persino da coloro che li hanno messi in moto.

Ben oltre la pura attualità politica un aspetto sicuramente degno di attenzione è il rapporto che i media stanno via via instaurando con il crimine, in particolare con il crimine violento e in un ultima istanza con l’omicidio.
Impazzano ormai da anni – e sono sempre al top degli ascolti – serie televisive incentrate su squadre investigative ipertecnologizzate, in grado, con gli strumenti della scienza e della tecnica, di venire a capo con successo di qualsiasi omicidio. I laboratori di serie come CSI o NCIS sono diventati simboli quasi totemici del nostro bisogno di sicurezza, luoghi virtuali in cui riporre fiducia per esorcizzare le nostre paure.

Anche i format televisivi di attualità si sono gettati nella mischia con un approccio al tema naturalmente diverso nella forma ma sostanzialmente similare in contenuto e obiettivo. I famigerati plastici delle case di Cogne o Avetrana nelle puntate di Porta a Porta dedicate ai relativi casi di omicidio possono facilmente e sbrigativamente etichettati come trash televisivo e derubricati quasi a maldestri episodi di comicità involontaria costruiti sulle spalle di tragedie familiari, ma si possono in realtà collocare in un approccio di comunicazione sociale che non è errato ascrivere ad una visione scientista e falsamente rassicurante della criminologia.
Nelle ricostruzioni di Bruno Vespa così come nei dialoghi dei profiler di Criminal Minds emerge il bisogno compulsivo di spiegare e comprendere l’omicidio e l’omicida, un bisogno che, di volta in volta, acuisce in forma paranoica i nostri sospetti verso determinate persone, atteggiamenti o comportamenti, o piuttosto ci adagia nella convinzione che l’assassino, il “mostro”, è diverso, è deviato, che una simile esperienza non potrà capitare a noi, oppure ancora ci apre una finestra su moventi e motivazioni allo scopo di purificare le nostre piccole atrocità quotidiane. Condannare, perdonare, o semplicemente comprendere.

Quali sono tuttavia le conseguenze di un simile atteggiamento? Se i tentativi di Vespa appaiono patetici e al limite del ridicolo – come dimenticare ai tempi del delitto di Avetrana la battuta ricorrente, “A quando il plastico da Vespa?” – persino le costruzioni più riuscite non riescono e non vogliono essere socialmente e umanamente soddisfacenti.
Da un punto di vista prettamente politico scenari ambigui come appunto i programmi da prima serata sono il giusto alimento per le masse: provano a chiarire chiacchierando intorno al nulla, tentano di rassicurare senza eliminare l’inquietudine, proiettano l’immagine di una società in procinto di svelare la formula magica del crimine lasciando invariabilmente, al momento di spegnere la televisione, solo informazioni frammentarie, confuse e condizionate a loro volta dagli umori dell’opinione pubblica.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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