India verso le elezioni: foto ritratto di un paese diviso

Pubblicato il 27 Febbraio 2014 alle 17:25 Autore: Ilenia Buioni

In corsa per le elezioni di Maggio

Nei tre mesi che intercorrono fino all’ultima settimana di Aprile, uno dei giganti asiatici palpita di attesa e timore in vista delle prossime elezioni politiche. È l’India che, tra grandezza e contraddizioni, a Primavera attenderà alle urne 800 milioni di elettori. Il boato della propaganda anima e confonde i cittadini, mentre a colpire la comunità internazionale è, proprio in questi giorni, l’atteggiamento impassibile assunto dal Governo federale di fronte alla notizia che dà per certa la prossima liberazione degli assassini di Rajiv Gandhi.

Il brusio delle elezioni raggiunge anche un Paese lontano – l’Italia – che da due anni interpreta i venti che spirano da New Delhi. Un’Italia cosciente del fatto che anche la scelta di processare i marò secondo le leggi locali costituisce un tassello del complesso mosaico politico indiano. Del resto, sbrogliare il dilemma che avvolge i due fucilieri è un’impresa quanto mai imbarazzante soprattutto per chi, come la Sig.ra Sonia Gandhi, dopo anni di impegno politico non si è ancora affrancata da quell’italianità su cui gioca l’opposizione. Presidente di un partito che secondo le proiezioni sarebbe destinato alla parabola discendente, la vedova dell’ex Premier Rajiv nonché nuora di Indira, lancia il guanto di sfida al centrodestra di ispirazione indù: il BJA, storico rivale del Congresso, la cui crescente influenza nazionale è bilanciata dalla molteplicità dei partiti locali.

Proprio nel terreno del particolarismo politico sboccia l’ultima provocazione rivolta al Governo centrale, attualmente guidato dal Partito del Congresso. Nel 1991 il Primo Ministro Rajiv Gandhi veniva assassinato da estremisti tamil, a distanza di sette anni dall’attentato in cui aveva perso la vita sua madre Indira Gandhi. Ultimamente, lo Stato federale del Nadu Tamil ha deciso di restituire alla vita da liberi cittadini gli assassini dell’ex Premier, sebbene la Corte Suprema abbia invitato il Governo locale a rivedere almeno in parte la posizione. La famiglia Gandhi potrebbe appellarsi, ma sembra quasi scontato che vi rinuncerà per ovvie ragioni di campagna elettorale, oltre che in nome di un’ambizione politica chiamata coesione sociale: magari solo uno slogan, o forse, da qualche tempo, un sogno nazionale.

Una pagina di storia indiana

Sul finire di un secolo segnato dall’imperialismo britannico, nel 1885 nasceva il Congresso Indiano, che sarebbe diventato, negli anni a venire, la principale forza politica del Paese. Era un’India rinnovata quella che – sotto la guida del Mahatma Gandhi – nel 1947 raggiungeva l’indipendenza e rinasceva come Stato libero, spolverandosi  di dosso l’appellativo di “fiore all’occhiello di Sua Maestà”.

L’autonomia era un lasciapassare conquistato con la disobbedienza di massa, paziente e non violenta. La modernità una promessa firmata dal Partito del Congresso, che fino agli inizi degli Anni Novanta godeva sommariamente della maggioranza assoluta dei seggi nel Parlamento centrale e nei Parlamenti degli Stati di cui si compone la Repubblica federale. Ma già dopo i primi anni il Congresso andava indebolendosi e le aspettative dei suoi fondatori superavano forse le potenzialità del Paese. Quella famiglia di eroi – da Nehru a sua figlia Indira e al nipote Rajiv – era vista come l’erede diretta del Mahatma, in un momento in cui l’India, avendo realizzato il sogno dell’indipendenza, si preparava a cavalcare la modernizzazione.

Ma nella complessità risiedeva la debolezza: l’ambizione del Primo Ministro Nehru di compattare una società tremendamente variegata attorno all’idea di uno Stato-Nazione si rivelava fallace, perché il Paese era stato da sempre governato come una confederazione, rispettando il potere dei leaders locali. Ecco che la pretesa di guardare ai modelli europei del XX secolo come una realtà da importare strappava l’India alla sua vocazione frammentaria. Quella stessa venerazione per l’unità nazionale intralciava negli anni Settanta le riforme di Indira: il rafforzamento ad ogni costo del potere centrale è stata un’illusione che ha alimentato, piuttosto, lo sviluppo di spinte secessioniste.

Sulle ambizioni spezzate da una società eterogenea e troppo vulnerabile per essere guarita, scorrono gli ultimi decenni di una famiglia, una dinastia, divenuta l’emblema del Partito del Congresso e  che oggi potrebbe avviarsi lentamente verso il tramonto.

Un modello di sana modernità

Dopo le elezioni previste per la fine di Aprile e a distanza di dieci anni dall’inizio del suo mandato, il Premier Manmohan Singh lascerà la carica. L’economista sikh, che ha avviato il Paese con determinazione lungo apprezzabili riforme di sviluppo economico, era stato chiamato al ruolo di Premier nel 2004 per sostituire una donna – una straniera – Sonia Gandhi – che dal 1998 guida il Congresso Nazionale Indiano. Oggi ha ottantuno anni l’uomo che nel 1991 ha preso per mano un’India ansiosa di varcare nuove frontiere, accecata dall’aspirazione di risplendere a dismisura (da qui lo slogan di Shining India). La crescita degli ultimi dieci o quindici anni non può lasciare indifferenti, malgrado  il progresso economico e la globalizzazione abbiano concorso ad aggravare una lunga serie di problematiche che si stendono su una società fragile e poco ascoltata.

Ma anche alla luce di questo, c’è sempre un pizzico di retorica nell’augurio che l’India elegga finalmente un leader pronto a correre sul doppio binario dello sviluppo tecnologico e del progresso sociale. È quanto mai scontato che la prosperità economica debba esprimersi prima di tutto nella  giustizia sociale e nel benessere dell’umanità. Tuttavia, in un mondo policromatico di etnie, religioni, lingue e tradizioni popolari, quale l’India effettivamente si presenta, le parole non bastano a smuovere uno stagno di povertà e arretratezza. Così come non basterebbe regalare a New Delhi un modello di crescita già confezionato altrove.

Al contrario, il partito che vincerà le elezioni parlamentari avrà il compito di interpretare le diversità nazionali e promuovere un processo di coesione e progresso sociale che parta dal basso, cioè dalle esigenze stesse della popolazione, dalle sue potenzialità e aspettative, al di là delle spinte ideologiche imposte dai vertici del Governo.

 

Luttine Ilenia Buioni