Inflazione più debole del previsto in Eurozona, arriva (finalmente) l’alleggerimento BCE?

Pubblicato il 31 Marzo 2014 alle 14:54 Autore: Giovanni De Mizio

Chiude con un deciso recupero il primo trimestre del 2014 per i mercati finanziari, mentre l’euro si allontana dai massimi dal 2011 toccati a metà del mese di marzo, grazie alle parole da colomba di diversi esponenti del consiglio BCE a proposito di un eventuale intervento di alleggerimento della politica monetaria nell’Eurozona.

L’intervento sembra essere sempre più probabile dopo il rilascio del dato dell’inflazione nell’area euro nella giornata di lunedì: l’inflazione su base annua è cresciuta di appena lo 0,5 per cento contro attese di 0,6 e un dato precedente a quota 0,7; la componente core rallenta allo 0,8 per cento dal precedente +1 per cento, tuttavia restando in linea con le attese. Il calo interessa tutte le maggiori componenti dell’inflazione, con l’eccezione dei prezzi dell’energia che invece sono aumentati, pur rimanendo in deflazione su base annua, oltre il 2 per cento di crescita. Si tratta comunque della dato più debole dal 2009.

Questo dato dovrebbe contribuire a rafforzare le pressioni sulla Banca centrale europea affinché Francoforte decida di combattere questo trend disnflazionistico che rischia di trasformarsi in pericolosa deflazione, che peraltro in alcuni paesi alla periferia dell’area euro è già realtà: è fondamentale, secondo gli analisti, intervenire per evitare la sindrome giapponese che da anni è bloccata da bassa crescita e caduta dei prezzi e che il governo locale, pur dopo gli iniziali successi dell’Abenomics, non riesce a guarire, e sembra anzi destinata ad un peggioramento a partire dal trimestre che apre con aprile.

Va comunque ricordato che la politica monetaria non è il mezzo corretto per fare ripartire la crescita economica, bensì soltanto un modo per dare fiato ai governi mentre pongano in essere le necessarie riforme strutturali, in particolar modo nel mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione nell’area euro è attualmente alle 12 per cento e la crescita economica nel primo trimestre è stata tutt’altro che entusiasmante: un alleggerimento monetario avrebbe certamente effetti positivi, a cominciare dalla tasso di cambio che secondo Mario Draghi ha rosicchiato diversi decimi di punto di inflazione, ma nel medio termine sono i governi che devono prendere il timone, anche se probabilmente ogni cambio di rotta rispetto all’attuale austerità dovrà attendere almeno le prossime elezioni europee di maggio. Altro non si può fare che attendere.

L’agenda macroeconomica prevede per martedì primo aprile l’entrata in vigore la tassa sui consumi in Giappone, aprendo così quello che secondo gli analisti sarà un trimestre fondamentale per la politica economica del primo ministro Shinzo Abe, che sta cercando di risollevare il Paese dal suo stato cronico di deflazione. Sarà inoltre giornata di indici dei direttori degli acquisti nel settore manifatturiero, che dovrebbero registrare in tutti i maggiori paesi in esame letture superiori ai 50 punti che separano l’espansione dalla contrazione economica. Conosceremo poi il tasso di disoccupazione tedesco, atteso fermo al 6,8 per cento, quello italiano, poco meno che doppio al 12 per cento, e quello dell’Eurozona, previsto al 12 per cento.

Mercoledì conosceremo invece la nuova stima del prodotto interno lordo europeo, atteso in crescita su base trimestrale dello 0,3 per cento. Una volta incassati i dati relativi a crescita economica, disoccupazione e inflazione, nel primo pomeriggio di giovedì l’attenzione sarà tutta per il meeting di politica monetaria della Banca Centrale Europea.

Sempre nella giornata di giovedì conosceremo gli indici dei direttori degli acquisti nel settore servizi, e anche in questo caso l’espansione economica dovrebbe farla da padrona in tutti i paesi.

Chiuderà la settimana il consueto report mensile relativo al mercato del lavoro statunitense che dovrebbe far segnare un ulteriore miglioramento, sia per quanto riguarda il tasso di disoccupazione sia per i nuovi posti di lavoro creati dei settori non agricoli, attesi a 200 mila unità.