Venezia, i premi della Mostra del Cinema tra ironia, dramma e amore

Pubblicato il 7 Settembre 2014 alle 15:55 Autore: Francesca Garrisi

Chi l’ha detto che humour e cruda realtà non possono andare braccetto? Il cinema è il luogo delle possibilità. Uno spazio “stregato” in cui sperimentare con spregiudicatezza a mescolare i più diversi sapori della vita. E’ un po’ questo quello che è successo alla 71esima Mostra del Cinema di Venezia, conclusasi ieri con l’assegnazione dei premi.

Il Leone d’Oro è andato allo svedese A Pigeon Sat On A Branch Reflecting On Existence (“un piccione seduto su un ramo a meditare sull’esistenza”) di Roy Andersson. Un film ironico e paradossale, attraversato da quell’umorismo nero tipico dei nordici, preannunciato già da un titolo volutamente surreale e, per certi versi, sviante. Il regista “fotografa” attraverso trentanove “istantanee” l’irragionevolezza dell’esistenza, caratterizzata dall’intreccio (a volte inestricabile) tra quotidiano, beffarde coincidenze e morte. Si alternano così sullo schermo due improbabili venditori ambulanti di scherzi, che, nel tentativo di far ridere le persone, propongono insoliti prodotti tra cui maschere e canini finti da vampiro, l’esercito di Carlo XII alla ricerca di un bar in cui fare i propri bisogni … e un uomo colpito da infarto mentre stappa una bottiglia di vino.

Insomma, storie degne del teatro di Beckett. Al momento della premiazione, il regista svedese ha voluto ricordare i maestri del cinema italiano: “Grazie mille, è un onore ricevere questo premio in un Paese che ha dato i natali a tanti maestri e capolavori del cinema”. Poi, una dedica speciale a uno dei suoi film preferiti, Ladri di biciclette: «è una storia piena di grande umanità e io è così che voglio continuare a fare i film, seguendo l’esempio di Vittorio De Sica”.

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Il Gran Premio della Giuria è andato a The look of silence, di Joshua Oppenheimer, sequel di The act of killing che ricostruisce il genocidio indonesiano degli anni Sessanta. Il film è un documentario, come il vincitore del Leone d’Oro dell’anno scorso, Sacro Gra. Così si è espresso l’attore e giurato Tim Roth a proposito del lavoro di Oppenheimer: “Questo film è un capolavoro, vederlo è stato come vedere i propri figli che nascono, è un gran lavoro di dignità e una grande operazione, mi ha davvero commosso”.Il Leone d’Argento per la miglior regia è stato invece assegnato ad Andrej Koncalovskij con The Postman’s white nights.

Infine, gli italiani, rimasti a bocca asciutta. Fa eccezione di Hungry hearts di Saverio Costanzo, grazie alla doppietta della Coppa Volpi, assegnata ai due protagonisti, Alba Rohrwacher e Adam Driver. Il film, ispirato al toccante romanzo di Marco Franzoso, Il bambino indaco, narra la storia di una coppia che, forse troppo rapidamente, brucia tutte le tappe dell’amore, finchè l’arrivo di un figlio li mette davanti alla necessità di scegliere cosa è davvero prioritario, cosa merita di essere salvato. Questo il commento di Alba Rohrwacher dopo la vittoria: “Sono molto felice di condividere questo premio con Adam. E grazie a Saverio, regista coraggioso e tenace: fare un film con lui è molto di più che prendere parte a un film, significa intraprendere un’avventura, e questa è stata un’avventura emozionante e indimenticabile”.

L'autore: Francesca Garrisi

31 anni, una laurea in Scienze della Comunicazione e poi un master in comunicazione d’impresa e comunicazione pubblica. Ha collaborato con l’Osservatorio di Comunicazione Politica dell’Università del Salento, e come stagista con il settore Comunicazione Istituzionale della Regione Puglia. Ha scritto per l’mPAZiente, bimestrale d’inchiesta salentino, e a oggi collabora con Termometro Politico e il settimanale salentino Extra Magazine. Un po’ Monty Python un po’ Cuore Selvaggio, è innamorata della lingua tedesca, che ritiene ingiustamente sottovalutata e bistrattata
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