Stati Uniti: le esitazioni di Obama in politica energetica

Pubblicato il 9 Maggio 2014 alle 14:30 Autore: Giacomo Morabito

L’attuale amministrazione degli Stati Uniti ha sottolineato che il Paese è diventato il primo produttore al mondo di gas naturale: infatti, ha estratto più petrolio di quanto ne abbia importato negli ultimi mesi, generando nuovi posti di lavoro e crescita economica. Tuttavia ciò appare incongruente considerato che il Presidente Barack Obama sta cercando di legare la propria immagine alla difesa dell’ambiente.

Infatti, uno degli obiettivi di Obama è ridurre negli Stati Uniti le emissioni di gas a effetto serra del 17 per cento entro il 2020, rispetto ai livelli del 2005. Al momento, però, gli sforzi dell’amministrazione non hanno portato grandi risultati: la produzione di energia solare è pari allo 0,5 per cento rispetto a quella totale; l’energia rinnovabile corrisponde al 12 per cento, mentre l’obiettivo è aumentare la produzione al 16 per cento entro il 2040.

Pannelli solari

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Nel frattempo, a giocare un ruolo molto importante sono i potenti gruppi d’interesse: la lobby verde afferma che l’amministrazione Obama è stata permissiva sulla produzione di gas da argille (in inglese ‘shale gas’), contrariamente a quanto sostenuto dalle lobby di petrolio e gas. La rivoluzione dello shale gas, e i possibili rischi per l’ambiente, pongono il Presidente Obama di fronte a una scelta binaria sullo shale gas tra i posti di lavoro per gli statunitensi e una maggiore tutela dell’ambiente per le generazioni future.

Sebbene lo shale gas permetta agli Stati Uniti di generare energia più pulita dai combustibili fossili, riducendo le emissioni di gas serra, d’altra parte preoccupano le prime fasi dell’estrazione e il cosiddetto ‘fracking (ovvero la fratturazione idraulica), che può provocare la liberazione nell’atmosfera di gas metano.

Un’altra importante questione per l’amministrazione Obama è il progetto di costruzione del Keystone, ovvero l’oleodotto che consentirebbe il trasporto del petrolio estratto dalle sabbie bituminose della provincia canadese Alberta fino al Golfo del Messico. La decisione finale sulla sua costruzione sarà probabilmente presa dopo le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti, fissate il 4 novembre.

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