La Fed termina il QE? Niente paura, ci pensa il Giappone a drogare i mercati

Pubblicato il 3 Novembre 2014 alle 15:41 Autore: Giovanni De Mizio
Federal Reserve

La notizia della settimana, che ha scatenato un rally sui mercati mondiali, è certamente la volontà della Banca Centrale Giapponese di mettere sul piatto 10-20mila miliardi di yen in più pur di centrare l’obiettivo di inflazione del 2% entro il 2015. Il totale, il prossimo anno, sarà di 80mila miliardi di yen (oltre 550 miliardi di euro), ma fatto ancora più interessante è che cambierà anche la qualità degli acquisti.

La Nippon Ginkou, infatti, comprerà molti più titoli nell’azionario e nell’immobiliare: questa mossa va vista in concerto con quel che farà il più grande fondo pensionistico (pubblico) giapponese, ovvero liberarsi di titoli di Stato (rendimenti troppo bassi) per puntare sull’azionario sia giapponese che straniero per avere rendimenti più elevati con cui pagare le pensioni di una società sempre più vecchia e perciò inattiva.

Federal Reserve

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Insomma, la banca centrale comprerà i titoli venduti dal fondo, ed entrambi compreranno azionario, pompandone così le quotazioni e “creando” interessanti guadagni (a prescindere dalla qualità delle aziende sottostanti, si direbbe). Purtroppo non esistono pasti gratis, e i guai restano dietro l’angolo.

Intanto l’inflazione sembra addirittura rallentare, pur rimanendo in crescita: i lavoratori continuano a non avere sufficienti aumenti dei salari, perdendo così potere d’acquisto, anche perché i beni importati (l’energia, ad esempio) sono sempre più cari per via della debolezza della moneta; i profitti delle imprese sono aiutati dalla svalutazione dello yen, ma non sembra essere possibile mantenere questo ritmo a due cifre per sempre.

Il motivo è semplice: la deflazione generata comunque dal Giappone (ma anche dall’Europa) non potendosi sfogare in loco finisce per colpire altri Paesi (Stati Uniti in primis, consumatori-importatori per eccellenza). Questo può provocare guai in quei Paesi e provocare una “ritorsione” monetaria, insomma una nuova fase della guerra delle valute. In breve: lo yen non potrà svalutarsi per sempre, e i profitti (su cui si dovrebbero “calcolare” i prezzi delle azioni) potrebbero fermare la crescita. Facile immaginare che la BoJ e il fondo pensione non ne saranno contenti.

Davanti al Giappone ci sono non solo nuove tasse che rischiano di deprimere la domanda interna, non solo un mondo che potrebbe diventare ostile alla debolezza “artificiale” dello yen (la Federal Reserve già è piuttosto fredda nel guardare il dollaro apprezzarsi troppo in fretta), ma pure un governo, quello di Shinzo Abe, che dopo alcuni recenti scandali è indebolito e quindi meno propenso a porre in essere le necessarie (e dolorose, durante la transizione) riforme strutturali.

In sintesi, la mossa della BoJ serve a far guadagnare tempo al governo, ma prima o poi quel tempo finirà e bisognerà tirare le conseguenze di questo mostruoso esperimento (a cui l’Europa deve guardare con interesse visto che condivide con il Giappone il problema sottostante a questa crisi strutturale, ovvero una popolazione in via di invecchiamento e sempre meno attiva e produttiva).

La settimana (nonché il mese lavorativo) inizia con la tradizionale raffica di indici dei direttori degli acquisti, che nonostante attese di una manifattura in riferimento al periodo precedente, ha prodotto una lettura in caduta, in particolare per l’Italia,che piomba a 49 punti, sotto la soglia che indica espansione. Mercoledì sarà la volta dei servizi, e il discorso dovrebbe essere il medesimo.

Attenzione a martedì: si terranno negli USA le elezioni di midterm che decideranno gli ultimi due anni della presidenza Obama. I repubblicani potrebbero prendere anche il Senato, oltre a mantenere la Camera, ma in ogni caso difficilmente ci saranno troppi cambiamenti: Obama sarà un po’ più zoppo di prima, ma Washington resterà una capitale pericolosa ingessata quando si tratta di prendere decisioni.

Giovedì si terrà il penultimo meeting mensile della Banca Centrale Europea (in seguito gli incontri si terranno ogni sei settimane): Draghi non dovrebbe riservare sorprese, ma solo fare il punto della situazione, specie per quanto riguarda l’andamento degli acquisti di attivi e gli stress test. Tuttavia non si può escludere che l’italiano a Francoforte tiri fuori qualche coniglio dal cilindro (ma non dal fronte dei tassi, abbondantemente al minimo dello 0,05%).

Venerdì la produzione industriale tedesca dovrebbe rimbalzare un pochino rispetto al calo del 4% del mese precedente. La giornata sarà però dominata dal report relativo al mercato del lavoro USA, che dovrebbe confermare il dato del tasso di disoccupazione al 5,9% e registrare l’aggiunta di 220mila nuove buste paga in settori non agricoli. Interessante vedere se i salari accelereranno, nel qual caso la Fed potrebbe intervenire prima del previsto per prevenire aumenti dell’inflazione troppo repentini. Per ora, comunque, il pericolo non sembra dietro l’angolo.