Video online: rivoluzione in arrivo sul fronte dei diritti d’autore

Pubblicato il 5 Novembre 2014 alle 16:27 Autore: Guido Scorza

E’ una decisione destinata a far discutere e a rivoluzionare le dinamiche di utilizzazione dei contenuti audiovisivi sul web quella pronunciata lo scorso 21 ottobre dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

I giudici di Lussemburgo, infatti, hanno messo nero su bianco un principio sin qui niente affatto scontato: incorporare nel proprio sito internet – quale che esso sia – un video pubblicato online su un altro sito attraverso un link non significa “comunicarlo al pubblico” e non richiede, pertanto, nessuna autorizzazione o licenza da parte dell’autore.

La semplicità della vicenda all’origine della decisione della Corte di Giustizia è inversamente proporzionale alla importanza e complessità del principio sancito dai Giudici.

Una società tedesca, infatti, aveva contestato a due propri concorrenti di aver embeddato sui propri siti internet un video promozionale, da essa fatto produrre e pubblicato su YouTube, in aperta violazione dei propri diritti d’autore.

I Giudici della Corte europea non hanno, però, avuto dubbi: l’embedding di un video già disponibile su una piattaforma ad accesso indiscriminato come YouTube non modifica il regime di pubblicità del video che è resta accessibile a chiunque e, quindi, non può essere considerata una nuova forma di comunicazione al pubblico che rappresenterebbe un esercizio di altrui diritti d’autore e richiederebbe, quindi, un’ulteriore licenza.

Chi pubblica un video su YouTube – così come su ogni altra analoga piattaforma o sito internet – accetta, evidentemente, l’idea che il contenuto sia accessibile dall’intera popolazione degli utenti online e, dunque, non può poi lamentare alcunché a chi lo embeddi, facendolo “rimbalzare” sulle proprie pagine web.

E’ difficile immaginare le tante implicazioni, gli effetti e le conseguenze che la decisione è destinata a produrre.

Tanto per cominciare è evidente che i Giudici di Lussemburgo hanno dettato una regola che difficilmente i giornali online ed i tanti altri utilizzatori importanti di contenuti audiovisivi potranno non ascoltare: embeddare un contenuto disponibile in un’area web aperta al pubblico è una pratica decisamente preferibile alla pure diffusa ripubblicazione – previo download – di un video trovato online.

Ma la decisione è destinata ad avere un impatto significativo anche in materia di enforcement dei diritti di proprietà intellettuale.

E’, infatti, evidente che se embeddare un video non significa utilizzare altrui diritti d’autore, né l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, né alcun Giudice potranno più contestare al gestore di un sito web che si limiti ad embeddare contenuti altrove pubblicati, la violazione dei diritti d’autore e, dunque, rivolgergli obblighi, irrogargli sanzioni o, a maggior ragione, inibire l’accesso al relativo sito.

E’ un’autentica rivoluzione.

E, naturalmente, la decisione della Corte di Giustizia non riguarda solo i contenuti audiovisivi.

Analoghe regole, infatti, sono, evidentemente, destinate a trovare applicazione in relazione ad ogni altro contenuto coperto da diritto d’autore reso disponibile online.

Linkare – anche attraverso embedding – dunque non significa utilizzare altrui diritti d’autore.

E’, davvero, un singolare gioco del destino quello che ha fatto si che la decisione dei Giudici Europei, sia rimbalzata in tutta Europa proprio contemporaneamente alla notizia della nuova “link-tax”, appena approvata in Spagna dove si è dato vita ad un nuovo diritto connesso ai diritti d’autore consistente proprio nel “diritto di link”.

Mentre, dunque, la Corte di Giustizia UE stabilisce che per linkare un contenuto o, addirittura, per embeddarlo non serve alcuna autorizzazione né licenza da parte del titolare dei diritti d’autore, il Parlamento spagnolo introduce un nuovo diritto connesso al diritto d’autore per effetto del quale, chi linkerà a taluni altrui contenuti, dovrà pagare un apposito “equo compenso”.

Tanta, troppa confusione in un settore che avrebbe, invece, bisogno di regole certe, chiare e, possibilmente, tecnologicamente neutre per evitare che siano Giudici e parlamenti ad orientare lo sviluppo del web che verrà.

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