Scoperto il pianeta gemello della Terra: elogio della Fisica Epicurea

Pubblicato il 19 Aprile 2014 alle 14:07 Autore: Marco Caffarello

La  straordinaria scoperta di Kepler-186, il pianeta gemello della Terra distante 500 anni luce, non rappresenta una ‘novità assoluta’ nei termini di una ermeneutica filosofica; Epicuro di Samo aveva infatti già predetto l’assoluta certezza della pluralità dei mondi

 

 

Nell’apprendere della scoperta di Kepler-186f, più semplicemente il pianeta gemello della Terra, così chiamato in onore del telescopio spaziale che lo ha individuato, Keplero per l’appunto, la prima intuizione è stata una rappresentazione della Fisica che fu di Epicuro di Samo, il filosofo del periodo ellenistico teorico dell’esistenza della pluralità dei mondi.

Se molti di noi, infatti, saranno sobbalzati dal divano nell’ascoltare le conquiste della scienza di oggi, così grande da poter individuare nel mezzo dell’infinità dello spazio cosmico, a distanza di 500 anni luce, un pianeta a noi gemello, sia per dimensione, essendo più grande della Terra ‘solamente’ del 10%, sia per le sue specifiche caratteristiche, come la vicinanza a quello che sarebbe il suo Sole, una nana rossa, tali da rendere possibile l’ipotesi della presenza dell’acqua, e quindi della vita biologica, Epicuro in un immaginario dialogo con gli uomini del nostro tempo, avrebbe affermato;” Io l’ho avevo già detto”.

Si scherza, naturalmente, ma il filosofo ellenistico ha ragione; se c’è infatti un filosofo che più di ogni altro, e prima di ogni altro, ha teorizzato la possibilità dell’esistere di una pluralità dei mondi, questo risponde infatti al nome del Epicuro, e data quindi l’ormai assoluta certezza di Kepler-186f, è giusto quindi tesserne l’ elogio.

Se si prende infatti l’Epistola ad Erodoto,  testo del III secolo a.C., uno dei pochi saggi del filosofo ellenistico giunti fino a noi, così viene scritto:

 “Ma, in verità, anche i mondi sono infiniti, tanto quelli simili a questo, quanto quelli dissimili. E, infatti, gli atomi, essendo infiniti, come è stato appena dimostrato, vanno anche lontanissimo. In effetti, tali atomi dai quali un mondo potrebbe nascere e per opera dei quali potrebbe essere creato, non sono stati spesi tutti per un mondo solo o per un numero limitato di mondi, né quanti siano tali né quanti siano differenti da questi. Perciò non c’è nulla che possa costituire impedimento alla infinità dei mondi. ”

 E’ evidente, quindi, la lungimiranza del filosofo ellenistico, bisogna dargliene atto e merito, che anticipa verità cd. ‘moderne’, oggettivamente affermate grazie anche all’uso delle immense tecnologie di cui oggi dispone l’uomo, di oltre ben 2400 anni, un’intuizione che non è prodotto del caso, ma di un rigoroso sistema che il filosofo di Samo utilizzò per la conoscenza dei fenomeni della natura.

Per chi ama leggere di filosofia, infatti, sa bene che la filosofia di Epicuro, come un qualsiasi sistema che voglia essere ‘produttore di conoscenza’, nasce con lo specifico scopo della conoscenza delle cause prime dei fenomeni naturali, una conoscenza che per il filosofo del III secolo a.C. ha una funzione edonistica, ossia è fonte di piacere e quindi di felicità, essendo la felicità epicurea essenzialmente sapienza delle cause dei fenomeni in cui consiste la scienza della natura, un sapere che all’interno del quadro di una filosofia epicurea, ha una ricaduta anche della condotta morale.

epicuro

Com’è noto l’intera struttura della Fisica epicurea si deve al contributo della filosofia atomista di Democrito di Abdera, per cui anche per il filosofo di Samo l’intera realtà si risolve nelle ‘nature compiute’ di atomo e di vuoto, le due ‘grandezze’ che per essenza costituiscono la struttura ontologica della realtà dei fenomeni, per cui un ‘corpo’ non è che un ‘aggregato’ di corpi divisibili in infiniti atomi che si ‘muovono nel vuoto’, ma, a differenza del maestro di Abdera che considerava questi ‘assoluti’ come di per sé sufficienti a poter offrire una spiegazione piena delle cause dei fenomeni naturali, negando quindi alle ‘cose’ i loro ‘attributi’, come il caldo, il freddo, il grande, il piccolo, ecc, essendo queste solo delle’impressioni soggettive’ che in quanto tali non producono conoscenza perché non ‘appartengono alla cosa in sé’, per Epicuro gli attributi, ovvero le impressioni soggettive, e quindi in un ultima istanza le qualità delle cose, vanno comprese, essendo esse stesse parte della funzione edonistica della conoscenza.

Tuttavia all’interno del meraviglioso dibattito delle scuole di filosofia che fu del periodo classico, l’impianto gnoseologico di Epicuro si scontra frontalmente con la struttura idealista ed epistemica, immutabile e sempre vera, che fu di Platone, per il quale non solo le impressioni soggettive sono un errore, false, opinione, semplicemente δόξα, l’ultimo grado della verità, essendo vero per il filosofo di Atene, come insegna il mito della caverna della Repubblica, tutto ciò che ‘deriva‘ dalla contemplazione delle idee che dimorano ‘nell’ iperuranio’, ma questo stesso mondo non è che imitazione di un mondo ideale in sé unico e di per sé perfetto che obbedisce ad un finalismo o scopo precostituito e per questo immanente alle nostre stesse idee; per Platone, dunque, così come può esistere solo ed una sola verità che alberga nell’eternità del regno delle idee, allo stesso modo non può che esistere un solo ed un solo mondo.

Ebbene, la scoperta di Kepler-186f rende merito a distanza di millenni alle teorie di Epicuro; il filosofo di Samo non solo anticipa la l’esistenza, ora acclarata dalla scienza, di una pluralità dei mondi, ma indirettamente afferma che allo stesso modo in cui esiste una pluralità dei corpi celesti, allora esiste una pluralità delle spiegazioni delle loro cause, perché essendo ogni corpo esistente un aggregato di atomi sottoposti all’imperturbabile legge del clinamen ( il moto degli atomi nel vuoto), e non obbedendo questi ad alcun principio finalistico della loro aggregazione, per cui il creare e il distruggere della materia e delle cose, così come degli esseri e degli infiniti mondi possibili, non è che una maniera attraverso il quale gli atomi si aggregano e poi si scompongono, allora è vero allo stesso modo una pluralità delle spiegazioni del loro esistere.

Nell’opposizione platonica di mondo intellegibile e di mondo sensibile, per cui il mondo delle idee prende il sopravvento su quello dei sensi che inevitabilmente si legano all’esperienza del singolo, Epicuro ravvede infatti la fine stessa della conoscenza come apportatrice di felicità, avendo il filosofo di Atene spogliato la conoscenza del valore intrinsecamente teoretico che vi appartiene, per relegarla nell’unità indivisibile e statica di una sapienza epistemica che dichiara vero tutto ciò che dal mondo dei sensi è separato.

Le conseguenze del primato del filosofia platonica su quella epicurea saranno infatti di ordine morale. Non sarà un caso, quindi, che nel corso della Storia, qualche secolo più tardi nell’età dei classici, un altro genio rispondente al nome di Giacomo Leopardi, quando il suo (presunto) pessimismo da storico diverrà cosmico’, e quindi anche l’impianto metafisico della filosofia platonica crollerà su sé stessa, per cui ogni assoluto si troverà ad essere un nulla, il genio di Recanati, esperto di conoscenze astronomiche fin dalla più tenera età avendo scritto un Trattato di astronomia non ancora quindicenne, accarezzerà l’idea epicurea della pluralità dei mondi e della relatività della conoscenza, così come recitano passi delle Operette Morali, o frammenti dello Zibaldone di cui in particolare riporto una testimonianza, quella contenuta nel frammento 3171 dell’opera del poeta-filosofo:

Niuna cosa maggiormente dimostra la grandezza e la potenza dell’umano intelletto, né l’altezza e nobiltà dell’uomo, che il poter l’uomo conoscere e interamente comprendere e fortemente sentire la sua piccolezza. Quando egli considerando la pluralità dei mondi, si sente infinitamente parte di un globo ch’è minima parte d’uno degli infiniti sistemi che compongono il mondo, e in questa considerazione stupisce della sua piccolezza, e profondamente sentendola e intimamente riguardandola, si confonde quasi con il nulla, e perde quasi sé stesso nel pensiero delle immensità delle cose, e si trova quasi smarrito nella vastità incomprensibile dell’esistenza: allora con questo atto e con questo pensiero egli dà la maggior prova possibile della sua nobiltà, della forza e dell’immensità capacità della sua mente, la quale rinchiusa in sì piccolo e menomo essere, è potuta pervenire a conoscere e intender cose tanto superiori alla natura di lui, e può abbracciare e contenere con il pensiero questa immensità medesima della esistenza e delle cose.”

D’altronde non si scopre oggi che dal modo in cui noi conosciamo, allora anche siamo, e poi saremo ancora.

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