Libia, La Russa: Berlusconi nel 2011 fu l’ultimo a convincersi dell’intervento italiano

Pubblicato il 16 Febbraio 2015 alle 10:53 Autore: Gabriele Maestri
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Con la situazione che precipita in Libia si riaccende il caso che ha visto coinvolta l’Italia nel 2011.

Ne ha parlato in alcune interviste di qualche giorno fa l’ex premier e profondo conoscitore della politica estera Romano Prodi a cui risponde a distanza Ignazio La Russa. “Mi stupisce la memoria corta di Prodi. L’Italia, nel 2011, non entrò tra i ‘volenterosi’ come Francia e Gran Bretagna, fino a che non ci fu il via libera dell’Onu. E, anche allora, io fui il penultimo a convincermi della necessità dell’intervento. L’ultimo fu Berlusconi”.

Intervistato da Quotidiano Nazionale La Russa, ex ministro della Difesa, ricostruisce i raid in Libia che scattarono nell’aprile 2011. “Una volta che le Nazioni Unite si pronunciarono non si poteva fare altro, era tutto già segnato. Del resto, noi avevamo interessi economici preminenti”.

“Non siamo stati convinti dalla Francia, come ha detto Prodi. Piuttosto i francesi non tolleravano il rapporto privilegiato Italia-Libia”.

Libia, rivelazione di La Russa

“All’epoca, ed è una cosa che non ho mai rivelato, mandai una persona di mia fiducia, ad altissimo livello, tra gli insorti. Volevo capire. Il quadro che mi fece della situazione era assolutamente perfetto, compreso il pericolo del terrorismo islamico che cominciava a mostrarsi”.

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“Berlusconi fu costretto a cedere alla ragion di Stato. E, come lui, anche il presidente della Repubblica Napolitano che pretendeva il pronunciamento delle Nazioni Unite.

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Libia, Berlusconi e l’amico Gheddafi

Va detto che per Berlusconi, però, non si trattava soltanto di un problema militare, aveva degli aspetti personali. Diceva: ‘Gheddafi mi ha trattato come un amico’”.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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