Davigo boccia la nuova legge sulla corruzione: “Non è detto serva a qualcosa”

Pubblicato il 11 Aprile 2015 alle 12:10 Autore: Redazione

La nuova legge sulla corruzione? “Non è detto che serva a qualcosa”. Parola di Piercamillo Davigo, ex pm di Mani Pulite e oggi giudice di Cassazione, che intervistato da Qn sottolinea: “Mancano almeno due elementi. Primo: una fortissima norma premiale, con riduzione di pena o non punibilità a favore del primo che parli tra i soggetti coinvolti. Secondo: la possibilità di operazioni sotto copertura così come già avviene invece per le inchieste su droga, terrorismo, armi, pedopornofilia”, con la possibilità di impiegare i cosiddetti “agenti provocatori“.

Negli Usa, spiega Davigo, viene fatto il “test d’integrità”: “Dopo le elezioni mandano agenti sotto copertura a offrire denaro ad alcuni dei nuovi eletti. Chi lo accetta viene arrestato”.

“Il nostro – afferma l’ex pm – è un codice spaventapasseri, che fa paura solo guardandolo da lontano. In realtà il sistema è costruito in modo tale per cui per certi reati in galera non si può andare. È per questo che non hanno senso i paragoni, per esempio, con altri Paesi europei. Da noi fino ai tre anni di pena in carcere non si va, in Germania se la condanna è a tre anni si scontano tutti. Per non dire degli Stati Uniti”.

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Davigo: “Colletti bianchi intoccabili”

Davigo riflette sull’intoccabilità dei colletti bianchi: “Prendiamo il settimo comandamento: non rubare. Se lo applichiamo ai ladri normali si tratta di furto. E poiché è impossibile compiere un furto senza una o due aggravanti, le pene arrivano fino a dieci anni e si va in carcere. Se invece riguarda i colletti bianchi si chiama appropriazione indebita ed è punita con pene fino ai tre anni. Le eventuali aggravanti non incidono sulla circostanza che in carcere non si va”.

L’esempio che Davigo fa è emblematico: “Quando a Torino una guardia giurata è scappata con il furgone e a bordo 5 miliardi, in Procura si sono resi conto che con una pena fino a tre anni era impossibile l’arresto per appropriazione indebita. Ma se non l’avessero fatto, c’era il rischio che qualche altra guardia prendesse esempio per la gioia delle banche…”. Allora, prosegue Davigo, “considerato che la guardia aveva prestato giuramento ed era nominata dal prefetto, l’hanno considerata pubblico ufficiale e le hanno contestato il peculato. Punito più severamente e con la possibilità di arresto”.

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