Astensionismo, la proposta del costituzionalista Michele Ainis

Pubblicato il 18 Giugno 2015 alle 15:58 Autore: Andrea Turco

A vincere le passate regionali e comunali, non sono i partiti, nè l’exploit della Lega o il “filotto” dei Cinque Stelle. A vincere è stato l’astensionismo. Su questo punto sono d’accordo tutti gli analisti politici. Ma la politica, quella che per inciso dovrebbe riflettere su questo dato negativo, non si interroga. Anzi “il fenomeno dell’astensionismo – scrive il costituzionalista Michele Ainis sul Corriere della Sera – cade per lo più sotto il silenzio. Qualche dichiarazione preoccupata, qualche pensoso monito quando si chiudono le urne; ma tre ore dopo i partiti sono già impegnati nella conta degli sconfitti e dei vincenti. È un errore, perché qualsiasi maggioranza rappresenta ormai una minoranza”. Ma cosa succede se “l’onda diventa una marea” e alle urne va solo il 50% degli elettori? Qualcosa di preoccupante certo, ma Ainis individua una soluzione che poco piacerà ai politici italiani.

C’è modo di riannodare questo filo? Non imponendo l’obbligo del voto. Funzionava così nel dopoguerra, quando gli astensionisti dovevano giustificarsi presso il sindaco, e per sovrapprezzo beccavano una nota nel certificato di buona condotta; ma il rimedio sarebbe peggiore del male, offenderebbe i principi liberali.

Non è una buona soluzione nemmeno quella escogitata in Francia nel 1919: se non vota almeno la metà del corpo elettorale, le elezioni si ripetono. Con questi chiari di luna, rischieremmo di votare ogni domenica. Però la via d’uscita c’è, e oltretutto procurerebbe un risparmio di poltrone. Va alle urne il 50% degli elettori?

Allora dimezzo il numero dei parlamentari. E ne dimezzo altresì le competenze, trasferendole ai Comuni, se per avventura il voto cittadino risulta più attraente di quello nazionale. In caso contrario apro ai referendum sulle decisioni del sindaco, per supplire alla sua scarsa legittimazione.
Un’idea bislacca? Fino a un certo punto. Nella Repubblica di Weimar si guadagnava un seggio ogni 60 mila voti validi; e il medesimo sistema fu riproposto in Austria nel 1970. Anche in Italia, fino al 1963, le Camere esponevano numeri variabili in base alla popolazione complessiva; mentre c’è tutt’oggi un quorum per la validità dei referendum. L’alternativa, d’altronde, è una democrazia senza linfa vitale, perché il non voto ne sta essiccando le radici. Per salvarla da se stessa, qui e ora, serve un lampo di fantasia istituzionale.

L'autore: Andrea Turco

Classe 1986, dopo alcune esperienze presso le redazioni di Radio Italia, Libero Quotidiano e OmniMilano approda a Termometro Politico.. Dal gennaio 2014 collabora con il portale d'informazione Smartweek. Su Twitter è @andreaturcomi
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