Italia-Spagna, è pareggio!

Pubblicato il 3 Marzo 2012 alle 19:48 Autore: Matteo Patané
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Italia e Spagna hanno compiuto scelte politiche profondamente differenti in termini qualitativi ma piuttosto ravvicinate a livello temporale, coincidenza che permette di eseguire raffronti che consentano, opportunamente filtrati dalle variabili macroeconomiche comunque indipendenti dalle scelte politiche contingenti, quale Paese abbia intrapreso la strada più vantaggiosa in termini di credibiità sui mercati, che poi significa in minori interessi pagati dalle casse dello Stato agli investitori sul mercato obbligazionario.
Le forze politiche italiane, tra un Berlusconi in grado comunque di sopravvivere per pochi voti in Parlamento ed un’opposizione poco desiderosa di trovarsi a sua volta ai posti di comando in un periodo così delicato, hanno – sotto l’abile regia del Presidente della Repubblica – deciso di non affrontare una campagna elettorale ed una sessione di votazioni, arrivando a convergere sul nome di Mario Monti. Il 12 novembre 2011, constatata l’esistenza di una maggioranza numerica ma non più politica alla Camera dei Deputati, si dimetteva il premier Silvio Berlusconi, ed appena quattro giorni dopo, il 16 novembre, prendeva vita il Governo Monti I, un esecutivo tecnico sostenuto da una maggioranza parlamentare comunque derivante dalle elezioni politiche del 2008. In Spagna, al contrario, il 29 luglio 2011 il premier Zapatero decideva per le proprie dimissioni, fissando la convocazione dei comizi elettorali e aprendo la strada alle elezioni anticipate del 20 novembre, poi vinte dal centrodestra di Rajoy.
Due scelte diametralmente opposte, che tuttavia fissano alcune date chiave utili per seguire alcuni confronti importanti.

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Come accennato, nei mesi di luglio e agosto la Spagna compì il suo sorpasso sul nostro Paese, e proprio il 29 luglio arrivò l’annuncio delle elezioni anticipate spagnole. I mercati premiarono il coraggio democratico della Spagna? La risposta è in realtà negativa per due ragioni: in primo luogo, alla notizia dell’annuncio, ovvero nei giorni immediatamente seguenti, non si registrò un calo dello apreadiberico; in secondo luogo, il forte calo che si ebbe a partire dal 5 agosto non coinvolse solo la Spagna, ma anche numerosi altri Paesi europei, suggerendo un’origine esogena alla scelta politica spagnola.
Sempre restando a Madrid, è altrettanto vero che non vi sono evidenti sommovimenti dello spreadnella terza decade di novembre, a seguito cioè dell’appuntamento elettorale che determinò il passaggio della Spagna dal centrosinistra di Zapatero al centrodestra di Rajoy. Nuovamente, un brusco calo dello spread vi fu diversi giorni dopo, nella prima decade di dicembre, ma l’origine di un simile effetto, che nuovamente coinvolse gran parte dei Paesi europei, è da ricercarsi altrove, ed in particolare a Roma.
Sostanzialmente, l’andamento dello spread spagnolo si è dimostrato impermeabile agli appuntamenti elettorali e ai cambi di governo, così come non si sono evidenziati dei veri scalini in salita o in discesa in funzione di determinati provvedimenti presi dal vecchio o dal nuovo governo. Questo tende a classificare lo spread spagnolo come un derivato di funzioni macroeconomiche ben ancorate alla reale situazione del Paese, e pertando – pur tendendo a variare in accordo con altri Paesi Europei – soggetto a modificazioni endogene piuttosto lente e ponderate.

Radicalmente differente si è dimostrata la situazione italiana. Il 9 novembre 2011, tre giorni prima delle dimissioni di Berlusconi, lo spread dei titoli decennali italiani toccò il massimo dalla nascita dell’euro, ad un terrificante valore di 552 punti base. Il gap di fiducia tra i BTP e i titoli benchmark, i Bund tedeschi, era tale che Roma riusciva a piazzare le proprie obbligazioni solo promettendo olte 5 punti percentuale e mezzo di interesse in più rispetto a Berlino. Il differenziale con la Spagna, in quel momento, era a 142 punti.
Il giorno della nascita del Governo Monti, il 16 novembre, esattamente una settimana dopo, lo spreaditaliano era a 519 punti ed il differenziale con la Spagna ridotto a 60. Il valore del dato non sta tanto nel calo dello spread, comunque limitato, quanto nell’aver innescato una tratta discendente in controtendenza con la Spagna e altri Paesi europei. Nella staffetta tra Berlusconi e Monti, in sostanza, l’Italia ha individuato un fattore endogeno in grado di ridurre lo spread dei propri titoli di Stato.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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