La polemica sulle facoltà umanistiche scatenata da Stefano Feltri

Pubblicato il 17 Agosto 2015 alle 12:09 Autore: Giuseppe Spadaro
ombre di laureandi sul muro col cappello accademico

Nell’intervento del vicedirettore del Fatto Quotidiano le facoltà ‘sbagliate’ sono Lettere, Scienze politiche, Filosofia e Storia dell’Arte. Il ragionamento di Feltri è il seguente: ognuno si ritenga libero di iscriversi alla facoltà per cui si sente più portato ma “soltanto se si è ricchi e non si ha bisogno di lavorare, dicono gli economisti. Se guardiamo all’istruzione come un investimento, le indagini sugli studenti dimostrano che quelli più avversi al rischio, magari perché hanno voti bassi e non si sentono competitivi, scelgono le facoltà che danno meno prospettive di lavoro, cioè quelle umanistiche”.

Qui arriva una prima distinzione e – continua Stefano Feltri – “i ragazzi più svegli e intraprendenti si sentono sicuri abbastanza da buttarsi su Ingegneria, Matematica, Fisica, Finanza. Studi difficili e competitivi. Ma chi li completa avrà opportunità maggiori, in Italia o all’estero”. Feltri cita un “paper del centro studi CEPS, firmato da Miroslav Beblavý, Sophie Lehouelleur e Ilaria Maselli” che “ha calcolato il valore attualizzato delle lauree, tenendo conto anche del costo opportunità (gli stipendi a cui rinuncio mentre studio invece di lavorare) delle diverse facoltà nei principali Paesi europei”.

stefano feltri con alle spalle una scrivania

Facoltà umanistiche: focus Italia

Guardiamo all’Italia: fatto 100 il valore medio attualizzato di una laurea a cinque anni dalla fine degli studi, per un uomo laureato in Legge o in Economia è 273, ben 398 se in Medicina. Soltanto 55 se studia Fisica o Informatica (le imprese italiane hanno adattato la propria struttura su lavoratori economici e poco qualificati). Se studia Lettere o Storia, il valore è pesantemente negativo, -265. Cioè fare studi umanistici non conviene, è un lusso che dovrebbe concedersi soltanto chi se lo può permettere. L’Italia è il Paese dove questo fenomeno è più marcato. Ma finché gli ‘intellettuali pubblici’ su giornali e tv continueranno a essere solo giuristi, scrittori e sociologi, c’è poca speranza che le cose cambino. Dopo aver parlato con una delle autrici del paper che cito in questo articolo, ho apportato una correzione che non modifica le conclusioni (anzi, le rafforza) ma che è rilevante: le tabelle sul valore attualizzato delle lauree non si riferiscono al valore in euro, come può sembrare e come a me è sembrato, ma alla differenza rispetto alla media. I ricercatori fissano a 100 l’NPV medio, cioè il valore attualizzato del titolo di studio (calcolato in euro e poi standardizzato a 100). Quindi se un laureato in materie umanistiche ha un NPD -265 significa che il valore della sua laurea è negativo di oltre due volte il valore medio di un’educazione universitaria.

Le critiche: eccessiva semplificazione

Scrive Massimiliano Sfregola nel suo articolo pubblicato sempre dal Fatto Quotidiano: Non sono d’accordo con Stefano Feltri perché la realtà che emerge dai numeri che cita fotografa solo i contorni di una questione complessa, la disoccupazione giovanile e il disastrato mercato del lavoro italiano, individuando nella scelta stessa di conseguire una laurea umanistica un fattore che aggrava la già difficile situazione degli young italians.

Giuseppe Tipaldo, ricercatore e docente universitario, risponde a Feltri: “Trovo il suo post assai poco convincente e condivisibile, se non potenzialmente dannoso per chi si trova nella delicata fase dell’orientamento in ingresso all’università, per via degli ingredienti con cui l’ha assemblato: l’ipersemplificazione al profumo di verosimiglianza, e il paternalismo modello italico”.

Replica di Feltri

Dopo le polemiche Feltri torna sull’argomento. “Cari ragazzi, studiate pure quello che vi piace, tipo filosofia o scienze della comunicazione, ma mettete in conto che a cinque anni dalla laurea avete ottime possibilità di essere disoccupati e con un reddito da operaio non specializzato. E a cinque anni dalla laurea significa avere 28-29 anni, che è già l’età in cui si può cominciare a ragionare di famiglie, figli e tutto il resto. Cosa che fanno spesso, per esempio, le dottoresse specializzande, che hanno figli quando entrano in specialità dove hanno anche diritto alla maternità. Se poi volete comunque studiare filologia romanza o teatro, se ve lo potete permettere o se vi attrae un’esistenza da intellettuale bohemien, fate pure. Affari vostri. L’importante è che siate consapevoli del costo futuro che dovrete pagare”.

 

L'autore: Giuseppe Spadaro

Direttore Responsabile di Termometro Politico. Iscritto all'Ordine dei Giornalisti (Tessera n. 149305) Nato a Barletta, mi sono laureato in Comunicazione Politica e Sociale presso l'Università degli Studi di Milano. Da sempre interessato ai temi sociali e politici ho trasformato la mia passione per la scrittura (e la lettura) nel mio mestiere che coltivo insieme all'amore per il mare e alla musica.
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