Giappone: la scuola dei suicidi

Pubblicato il 2 Settembre 2015 alle 14:55 Autore: Guglielmo Sano

Giappone: con l’inizio dell’anno scolastico si ripropone il drammatico problema dei suicidi tra gli studenti più giovani, sotto la lente di ingrandimento un sistema iper-competitivo.

Giappone: il giorno peggiore

Il primo giorno di settembre segna tradizionalmente l’inizio del secondo semestre di scuola in Giappone, ma è anche il giorno in cui si registra il maggior numero di casi di suicidio tra gli studenti nipponici. Infatti, secondo una statistica elaborata dal Centro di Prevenzione Suicidi del governo, che prende in considerazione un periodo compreso tra il 1972 e il 2013, in media, si verificano 131 casi di suicidio, il tasso più alto rispetto a qualsiasi altra data. Per esempio, l’11 aprile, con l’inizio della scuola, avvengono in media 99 suicidi.  Altre date critiche sono il 2 di settembre (94) e il 31 di agosto (92).

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Il tasso di suicidi giapponese è tra i più alti del mondo “industrializzato” (il primato spetta alla Corea del Sud); secondo i dati della World Health Organization, che si riferiscono al 2012, si attesta al 18,5%, 26,9% tra individui di sesso maschile, 10,1% tra individui di sesso femminile, l’Italia, per fare un paragone, si ferma al 4,7%. Dalle parti di Tokyo, solo lo scorso anno, si sono tolte la vita oltre 25mila persone, in pratica, 70 ogni giorno. Tra l’altro, il suicidio è la principale causa di morte nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 39 anni. Secondo i dati del governo, nell’arco di 40 anni, si sono tolti la vita 18.048 ragazzi di età inferiore ai 18 anni.

Giappone: la scuola dei suicidi

Alcuni esperti pensano che il numero dei suicidi nel paese sia molto più alto di quello riportato dalle statistiche: non è difficile che una persona anziana si tolga la vita, permettendo di incassare l’assicurazione ai propri familiari. La pratica diffusissima della cremazione rende impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi,  l’accertamento delle cause della morte. D’altra parte, la società giapponese non considera il suicidio come un “peccato”, nonostante il tempo dei samurai sia ormai passato, togliersi la vita viene ancora ritenuto un modo di prendersi le proprie responsabilità.

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Tuttavia, non si può escludere che ci sia la diffusione del “lavoro precario” dietro l’alto tasso di suicidi nella fascia 20-44 anni: il 40% dei giovani in Giappone non riesce a trovare un impiego stabile. Un dato che bisogna leggere alla luce della condanna sociale rivolta a chi “si lamenta”: una patologia clinicamente circoscritta come la “depressione”, ancora oggi, in Giappone è, di fatto, “tabù”. Andando ad analizzare le indagini condotte dagli esperti che studiano il fenomeno tra i più giovani (sotto i 18 anni), invece, si nota facilmente una correlazione tra il sistema scolastico iper-competitivo e l’inquietante tasso di ragazzi che si tolgono la vita.

Ma perché la maggior parte dei suicidi avviene alla ripresa delle lezioni dopo la pausa estiva? Si sa le vacanze possono essere un “paradiso” per tutti gli studenti, ma lo sono soprattutto per le vittime di “bullismo”. Al solo pensiero di dover ritornare a subire – sostanzialmente senza poter denunciare, protestare – le vessazioni dei propri torturatori, molti adolescenti giapponesi ritengono migliore l’ipotesi del suicidio. Il governo adesso chiede a genitori e insegnanti di essere vigili, di creare spazi dove i ragazzi possano esprimere le proprie preoccupazioni. Le radici del problema, però, sembrano molto più profonde.

L'autore: Guglielmo Sano

Nato nel 1989 a Palermo, si laurea in Filosofia della conoscenza e della comunicazione per poi proseguire i suoi studi in Scienze filosofiche a Bologna. Giornalista pubblicista dal 2018 (Odg Sicilia), si occupa principalmente di politica e attualità
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