Cina: perché gli automobilisti uccidono intenzionalmente chi investono?

Pubblicato il 9 Settembre 2015 alle 15:33 Autore: Guglielmo Sano

Cina: sembra una leggenda metropolitana, ma non lo è, spesso gli automobilisti cinesi quando investono un pedone preferiscono ucciderlo.

Cina: meglio colpire e uccidere

Lo scorso aprile, una Bmw, guidata da una donna senza patente, attraversando il mercato di Foshan, nella provincia del Guangdong, ha investito una bambina di due anni. Nonostante la nonna della piccola vittima gridasse all’autista di fermarsi, la Bmw, prima fece retromarcia, passando sul corpicino, e dopo avanzò nuovamente con le ruote anteriori, schiacciandolo definitivamente. La donna alla guida, a quel punto, uscì dalla macchina e propose alla nonna: “Diremo che alla guida c’era mio marito, siamo in grado di pagarvi”. Il tribunale competente l’ha condannata a 2 anni e 4 mesi: ufficialmente si è trattato di un “incidente”.

Non solo è vero che gli automobilisti cinesi che investono qualcuno spesso si assicurano di averlo ucciso, ma è anche un’evenienza più comune di quanto ci si possa aspettare. Numerosi video di sorveglianza hanno immortalato il fenomeno negli ultimi anni: dopo aver colpito un qualsiasi pedone, l’automobilista fa marcia indietro e gli passa sopra, se è necessario anche più di una volta. “Meglio colpire e uccidere che colpire e ferire” recita un vecchio adagio.

Esemplare in questo senso un caso risalente al 2008. Zhao Xiao Cheng, alla guida di una vecchia Passat bianca, fa retromarcia velocemente e non si accorge di una 64enne che passava dietro di lui. La prende in pieno. Accortosi dell’accaduto né scende a controllare, né fugge, ma passa più volte, con brevi scatti avanti e indietro, sul corpo dell’anziana signora. Solo dopo si allontana. La corte di Taizhou, nella provincia di Zheijang, ha assolto Zhao dall’accusa di omicidio volontario: l’imputato diceva di non essersi accorto che sotto le sue ruote fosse finita una persona, pensava fosse un sacco della spazzatura. Tradotto: condanna a 3 anni di reclusione per “negligenza”.

Un caso molto simile si è verificato nel 2010, nel distretto di Xinyi. Un giovane benestante alla guida della sua Bmw X6, investe un bambino, di appena 3 anni, in retromarcia. Successivamente scende dall’auto e, spostandola indietro con la forza delle braccia, si assicura di schiacciare la testa del piccolo. La corte chiamata a giudicarlo l’ha scagionato sia dall’accusa di “omicidio volontario” sia da quella di “omissione di soccorso”. Anche in questo caso l’imputato si è difeso affermando di non aver capito si trattasse di un essere umano. Pensava di aver schiacciato una scatola di cartone. Tuttavia, come per quello di prima, anche in questo caso un video immortalava l’accaduto.

ATTENZIONE – Le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità, si raccomanda una visione responsabile.

男童遭宝马车碾轧身亡现场视频曝光

Cina: leggi perverse

In Cina, se investi qualcuno che poi, nel peggiore dei casi, resta paralizzato, devi pagargli un indennizzo a vita, se invece la vittima muore, paghi alla sua famiglia un unico risarcimento, una specie di “tassa sulla sepoltura”. Da più parti, l’inquietante fenomeno appena descritto è collegato a questo aspetto perverso delle leggi cinesi in materia di risarcimento danni. In caso di morte della vittima si paga una cifra che oscilla tra i 30 e i 50mila dollari in media (Zhao Cheng ne ha pagati 70mila), e la questione finisce lì, invece, pagare le cure vita natural durante di chi è stato investito può diventare una spesa milionaria. Recentemente la stampa cinese ha reso noto il caso di una persona che per 23 anni di cure, seguite a un incidente che l’ha resa disabile, ha finora ricevuto 400mila dollari.

Inoltre, si preferisce uccidere chi si investe non solo perché è più conveniente ma anche a causa della facilità con cui si può eludere una condanna per “omicidio”. Prima della diffusione di smartphone e videocamere di sicurezza, “allungare una mazzetta” a un pubblico ufficiale o ingaggiare un avvocato discretamente bravo poteva bastare – tuttavia, ancora oggi si rivelano entrambe mosse in grado di neutralizzare persino una prova schiacciante come un video o una foto – a evitare la galera: è difficile per una corte provare che l’imputato è tornato indietro per “finire” chi ha investito.

D’altra parte, non mancano i casi di linciaggio –  il più recente: nel 2013 una folla ha aggredito un uomo colpevole di aver investito un bambino di 6 anni – così come le condanne gravi. Nel 2010, un’automobilista che aveva investito un uomo in bicicletta, per poi finirlo a coltellate, è stato condannato a morte, mentre, l’anno scorso, il conducente di un camioncino che aveva investito più volte un anziano è stato condannato a 15 anni di carcere.

L'autore: Guglielmo Sano

Nato nel 1989 a Palermo, si laurea in Filosofia della conoscenza e della comunicazione per poi proseguire i suoi studi in Scienze filosofiche a Bologna. Giornalista pubblicista dal 2018 (Odg Sicilia), si occupa principalmente di politica e attualità
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