Si chiama “privacy” il tornado che si abbatte motori di ricerca

Pubblicato il 16 Maggio 2014 alle 18:41 Autore: Guido Scorza

E’ un autentico tornado partito da Lussemburgo e destinato, nello spazio di una manciata di ore, a raggiungere e travolgere l’intera Silicon Valley, Mountainview in testa, la Sentenza con la quale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha appena stabilito che i gestori dei motori di ricerca sono titolari di tutti i dati personali indicizzati e che, per questo, qualsiasi cittadino europeo può chiedere a qualsiasi motore di ricerca, di rimuovere ogni collegamento tra il proprio nome e cognome ed una determinata pagina web, persino se quest’ultima è da considerarsi legittimamente pubblicata.

Poche migliaia di battute sono bastate ai Giudici della Corte di Giustizia per riscrivere radicalmente la questione della tutela del c.d. diritto all’oblio in Rete e per gettare le premesse per riscrivere una serie di altre pagine del rapporto, da sempre complesso e delicato, tra privacy e motori di ricerca.

Il principio stabilito dai Giudici di Lussemburgo è tanto semplice e lineare nella sua enunciazione quanto dirompente nelle conseguenze e negli effetti che è destinato a produrre.

Da oggi, infatti, chiunque ritenga che un editore online o il gestore di un sito internet stia pubblicando un contenuto che lo riguarda in violazione della sua privacy in quanto, magari, si tratta di una notizia vecchia e superata, oltre a chiedere – se lo riterrà – al gestore del sito di rimuoverlo, potrà inviare una semplice mail – non è chiaro dove e come – ai gestori dei motori di ricerca che indicizzano quel contenuto, chiedendo loro di cancellare, tra i risultati della ricerca, ogni link a tale contenuto.

Toccherà, a quel punto, direttamente ai motori di ricerca – non è chiaro attraverso quali parametri né con quali modalità – valutare se chi chiede di essere dimenticato ne ha davvero diritto o se, invece, l’interesse del pubblico ad accedere, anche attraverso i servizi di indicizzazione, al contenuto in questione è da ritenersi prevalente.

In caso di rifiuto del motore di ricerca a cancellare i link in questione o di mancata risposta, il soggetto cui i contenuti si riferiscono potrà rivolgersi all’Autorità giudiziaria o a quella garante per la privacy per chiedere di ordinare al motore di ricerca di “dimenticare” il nome e il cognome dell’interessato ovvero di cancellare ogni link ai contenuti incriminati.

E’ un’autentica rivoluzione rispetto a quanto accade oggi in ipotesi analoghe.

Giudici ed Autorità Garanti di mezza Europa – eccezion fatta per l’Agenzia spagnola per la tutela dei dati personali dal  cui provvedimento ha avuto origine la sentenza della Corte di Giustizia – infatti, erano, ormai giunte alla conclusione più o meno condivisa che il diritto all’oblio si tutelasse ordinando ai gestori delle pagine web di adottare gli accorgimenti tecnici necessari a “sganciare” determinati contenuti dall’indicizzazione dei motori di ricerca o, addirittura, semplicemente, ordinando di integrare le notizie del passato – ad esempio l’arresto di qualcuno – con eventuali aggiornamenti successivi – ovvero la sua assoluzione -.

Ora si cambia.

“Si tratta di una decisione deludente per i motori di ricerca e per gli editori online in generale”  e “Abbiamo bisogno di tempo per analizzarne le implicazioni”, sono i primi commenti, a caldo, che Google ha affidato ad un lancio di Agenzia.

E, in effetti, siamo alla vigilia di una rivoluzione che solleva interrogativi di non poco conto.

Due, forse, più inquietanti di tanti altri, pure, egualmente, importanti.

Il primo è se sia davvero giusto affidare ai gestori dei motori di ricerca una decisione tanto delicata e complessa come quella da assumere ogni qualvolta si tratta di decidere se sia prevalente l’interesse pubblico ad accedere ad un determinato contenuto o il diritto alla privacy del singolo a che nessuno possa accedere – almeno attraverso un motore di ricerca – ad un contenuto che lo riguarda addirittura se legittimamente pubblicato, magari, per scopi o finalità giornalistiche o, comunque, di informazione.

Il secondo riguarda i numeri.

Da domani i grandi motori di ricerca potrebbero essere letteralmente travolti da un’onda di richieste di rimozione di link contenuti nei risultati dei milioni di ricerche che restituiscono, ogni giorno, ai loro utenti.

Quelle – già tante – di rimozione dei video pubblicati su YouTube per questioni legate alla violazione del copyright, appaiono destinate a sembrare davvero poche a confronto.

Sono, infatti, certamente, migliaia ogni giorno le persone, solo in Italia, che preferirebbero che i grandi motori di ricerca non indicizzassero contenuti che li riguardano e che, a torto o a ragione, magari, reputano pubblicati in violazione della loro privacy, del loro onore o della loro reputazione.

Che succederà quando domani inizieranno a scrivere a Google, a Yahoo, a Bing ed agli altri grandi motori di ricerca per chiedere che facciano scomparire i propri dati personali dai risultati delle ricerche?

Chi e come deciderà il da farsi?

Si cancellerà tutto, per evitare sanzioni e condanne per illecito trattamento di dati personali da parte di Giudici ed Autorità?

Privacy e libertà di informazione sono due diritti fondamentali dell’uomo da maneggiare con estrema attenzione ed è preoccupante che la loro tutela – anche se solo in prima battura – resti affidata ai gestori dei motori di ricerca fuori da ogni preventivo controllo da parte di un Giudice o di un’Autorità.

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