L’economia sotto Isis? Non va poi così bene

Pubblicato il 5 Ottobre 2015 alle 18:23 Autore: Francesco Ferraro

Inflazione galoppante, record di disoccupati ed economia a due livelli: è questa la fotografia dell’ISIS scattata oggi da un’inchiesta del Washington Post. Nei giorni in cui l’opinione pubblica mondiale deve fare i conti con l’ennesima distruzione del patrimonio artistico della città di Palmira, il quotidiano americano ha realizzato una serie di interviste nelle zone che oggi sono sotto il diretto controllo dei jihadisti.

Il quadro che ne emerge è devastante: se nel 2013 nel nord della Siria e dell’Iraq un serbatoio di gas propano costava 50 centesimi, oggi per poterne acquistare le poche razioni ancora a disposizione occorrono 32 dollari. Inoltre cibo, carburante e altri beni essenziali per la vita quotidiana hanno raggiunto prezzi inverosimili, spingendo la popolazione locale a fare ricorso al mercato nero, dove prodotti come zucchero e latte in polvere vengono contrabbandati a prezzi proibitivi. Tuttavia, il dato più allarmante che emerge da questa inchiesta è la creazione, da parte dell’Isis, di un’economia a due livelli, dove i cittadini faticano a mangiare mentre i miliziani hanno elettricità e cibo gratuiti.

Se ciò non bastasse, la disoccupazione ha raggiunto livelli drammatici, con le fabbriche costrette a chiudere perché i proprietari sono fuggiti o a causa della mancanza delle materie prime. La totale assenza di farmaci, inoltre, assieme a molti ospedali che curano solamente i membri dello Stato islamico, contribuisce a creare un quadro ancor più drammatico.

L’Isis controlla anche il lato amministrativo: basti pensare che lo Stato islamico ha istituito apposite amministrazioni locali per concedere i permessi edili o per regolare la pesca, e sono stati istituiti anche uffici che rilasciano licenze di matrimonio e carte di identità.

Secondo quanto riportato dal Washington Post, lo Stato islamico ottiene i fondi dal contrabbando di petrolio, dal saccheggio delle banche, dai sequestri di persona o dalla vendita di reperti antichi sul mercato nero. Ma la fonte maggiore delle entrate dell’Isis sono le tasse imposte alla popolazione locale: parte degli intervistati ha infatti affermato di essere costretta a versare tra il 2,5 e il 10 per cento del loro reddito in zakat, un contributo di beneficenza che solitamente i musulmani utilizzano per sostenere le fasce più povere della popolazione. Ma oggi i pagamenti in zakat vengano versati allo Stato Islamico, e questo contributo viene quasi sicuramente utilizzato per pagare gli stipendi ai combattenti e a tutti i foreign fighters pronti ad unirsi all’Is.

Francesco Ferraro

L'autore: Francesco Ferraro

Classe 1991, romano, laureato in “Scienze Politiche e Relazioni Internazionali” all'Università “Roma Tre” con una tesi su Giorgio Napolitano, master in Comunicazione Politica all'Università di Urbino, attualmente segue il corso “Mass Media e Politica” dell’Università di Bologna - Campus di Forlì. Si occupa di politica interna, Quirinale e di comunicazione politica. Collabora con Termometro Politico dal 2015. Su twitter @franzifer
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