Risultati elezioni Turchia: i 5 aspetti più rilevanti della vittoria di Erdogan

Pubblicato il 2 Novembre 2015 alle 11:17 Autore: Emanuele Vena
Recep Tayyip Erdogan risultati elezioni Turchia

Le elezioni anticipate in Turchia – dopo lo stallo seguito alla tornata elettorale di giugno, che ha restituito un Parlamento completamente frammentato ed impossibilitato a costituire un governo di maggioranza politicamente omogeneo – sono state vinte dall’AKP, il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, che ha ottenuto quasi il 50% dei voti e la maggioranza assoluta dei seggi, che gli consentirà la costituzione di un nuovo esecutivo che dovrebbe essere in grado di affrontare con relativa tranquillità il prossimo quadriennio di legislatura.

Risultati elezioni Turchia: 5 aspetti rilevanti della vittoria di Erdogan

Al di là del mero risultato, sono 5 gli aspetti rilevanti da analizzare della tornata elettorale che, secondo molti, rappresenta la vittoria del presidente turco. Nel farlo, diamo un’occhiata ai risultati ufficiali del voto, condensati nel tweet qui di seguito.

Qui invece la differenza in termini di seggi tra l’elezione di novembre e quella di giugno.

1. Erdogan vince ma non stravince

Come si può notare dai risultati, l’AKP ha ottenuto 317 seggi, ampiamente al di sopra della maggioranza assoluta di 256. Un aspetto che gli permetterà di governare con tranquillità, aprendo la strada a quello che potrebbe essere un quadriennio di stabilità istituzionale. Un atteggiamento evidentemente apprezzato financo dalla Borsa e dalla lira – la valuta turca – che hanno reagito all’esito delle urne registrando un deciso rafforzamento.

Un risultato che riporta l’AKP alle percentuali di 4 anni fa – ma non alla stessa forza in termini di seggi – ma che però resta al di sotto delle aspettative di Erdogan, che puntava a quota 367 seggi, la maggioranza qualificata che gli avrebbe permesso di modificare la Costituzione.

2. Sultanato congelato?

Un aspetto che si ricollega direttamente a quello precedente: Erdogan potrà governare ma, senza quota 367, “addio” – o quantomeno “arrivederci” – ai sogni di sultanato, modificando la Costituzione e dandole un’impronta presidenzialista.

In seconda battuta c’è l’opzione referendum, più avvicinabile ma egualmente al di fuori delle capacità del solo AKP: per chiedere una consultazione popolare – compresa evidentemente quella sul cambio costituzionale – sono necessari 330 voti in Parlamento. Ad Erdogan ne mancano 13, e due sono le ipotesi per raggiungerlo: un accordo organico con parte delle opposizioni – eventualità piuttosto inverosimile – oppure il “salto della quaglia” di singoli parlamentari, indispensabile per ingrossare le fila dell’ondata riformatrice del Presidente e raggiungere la fatidica quota 330.

3. Il partito filo curdo “sopravvive”

La strategia della tensione non paga, nella “lotta” all’avanzata del partito filo curdo HDP. I mesi trascorsi dopo il voto di giugno hanno visto il partito di Selahattin Demirtas preda della furia della lotta contro le istanze indipendentiste curde, come dimostrato dalle violenze dei nazionalisti nelle sedi del partito e dal continuo coprifuoco imposto dalle autorità nella parte sudorientale della Turchia, area a maggioranza curda.

Come evidenziato nella mappa elettorale del voto, l’HDP resiste in tutta l’area, facendo il pieno di seggi in circoscrizioni chiave come Diyarbakir e Sirnak – provincia in cui si trova la città di Cizre – tra i maggiori epicentri della controffensiva di Ankara nei confronti delle istanze indipendentiste. E, soprattutto, sfonda nuovamente quota 10%, lo sbarramento posto per l’ingresso in Parlamento. Ponendosi ancora una volta – senza sottovalutare il Partito Repubblicano kemalista (CHP), che ha mantenuto sostanzialmente la stessa forza elettorale di giugno, guadagnando 2 seggi, segno della vitalità della borghesia turca, non intenzionata a cedere al sultano – come margine ultimo contro i sogni presidenzialisti di Erdogan.

4. Nazionalisti: la violenza non paga

La furia nazionalista che, abbattutasi sui filo curdi, ha rappresentato un solido combustibile alla controffensiva portata avanti da Ankara, dal punto di vista elettorale si è rivelata un sonoro fallimento.

L’MHP ha infatti perso più di 4 punti e soprattutto addirittura la metà dei seggi, passando dagli 80 conquistati solo 5 mesi fa ai 40 ottenuti in questa consultazione. A dimostrazione di come l’asse – voluto o meno – con l’AKP portato avanti negli ultimi mesi sia stato visto dall’elettorato come un tradimento di quelle accuse nei confronti dell’autoritarismo di Erdogan, che hanno contribuito alla rinascita elettorale del partito negli ultimi anni.

5. Quali relazioni internazionali per la Turchia?

E’ interessante notare come – analizzando unicamente il risultato ottenuto dai partiti in riferimento al voto dei cittadini turchi all’estero – l’AKP abbia ottenuto un successo superiore a quello registrato in patria, conquistando oltre il 56% dei voti.

Altrettanto curiosa è la “divisione” elettorale a seconda dei Paesi di residenza. Per esempio, i turchi dell’Europa occidentale hanno votato in maggioranza AKP, con l’eccezione di Italia, Svizzera e Regno Unito – a maggioranza filo curda – e di Spagna ed Irlanda che, insieme a colossi come Russia, Cina e Stati Uniti, si sono espressi a maggioranza repubblicana kemalista.

Al di là del voto dei turchi all’estero, sarà importante testare la reazione di una comunità internazionale sempre più accigliata nei confronti della stretta operata da Erdogan sulla società turca, non ultimo con la censura della stampa effettuata negli ultimi giorni prima del voto.

Ma oltre alla gestione della situazione interna, sotto la lente di osservazione sarà soprattutto la direzione che Erdogan intraprenderà nella lotta al fondamentalismo islamico dell’ISIS, un tema sul quale il “sultano” turco ha ricevuto aspre critiche nei mesi, accusato di non affrontare il problema con la giusta durezza e, addirittura, di favorire l’azione dei fondamentalisti, sia a livello economico – con l’approvvigionamento di petrolio proveniente dai pozzi del califfato – che logistico, con uno scarso controllo delle frontiere con la Siria, valico strategico per l’afflusso di foreign fighters provenienti dall’Europa.

Ad oggi Erdogan – che ha chiesto alla comunità internazionale di rispettare l’esito delle urne – ha ribadito chiaramente quali fossero le priorità di Ankara, concentrata soprattutto sulla necessità di soffocare le istante indipendentiste curde – ivi comprese quelle nell’area della Siria settentrionale, come per esempio Kobane – e di favorire la caduta del nemico Assad. Ma il crescente impegno della comunità internazionale nella lotta allo Stato Islamico potrebbe cambiare le carte in tavola e costringere l’aspirante sultano a prendere una decisione chiara.

L'autore: Emanuele Vena

Lucano, classe ’84, laureato in Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna e specializzato in Politica Internazionale e Diplomazia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova. Appassionato di storia, politica e giornalismo, trascorre il tempo libero percuotendo amabilmente la sua batteria. Collabora con il Termometro Politico dal 2013. Durante il 2015 è stato anche redattore di politica estera presso IBTimes Italia. Su Twitter è @EmanueleVena
Tutti gli articoli di Emanuele Vena →