Basta balzelli per Caronte: il governo elimina la tassa sugli yacht

Pubblicato il 16 Dicembre 2015 alle 12:56 Autore: Riccardo Piazza
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Tassa sugli yacht: un emendamento approvato in extremis dalla commissione Bilancio della Camera dei Deputati, contestualmente alla discussione parlamentare circa la Legge di Stabilità, ha cancellato la Tassa sugli yacht, in vigore dal 2011, quale balzello imposto dal governo Monti. Il provvedimento, firmato dal deputato del Pd Tiziano Arlotti, elimina un tributo che, seppur nella sua natura di imposizione fiscale riguardante i beni di lusso, non sempre ha garantito corposi introiti per le casse del Tesoro, creando sovente, all’interno del settore della nautica italiana, un’ampia zona grigia di elusione ed evasione fiscale.

Tassa sugli yacht: identikit di un’imposta

La tassa sulle barche di grosse dimensioni, vera bestia nera per gli armatori, i Caronte dell’imbarcazione di valore storico e di pregio, fin dalla sua istituzione ad opera della legislazione fiscale “Salva-Italia” ideata dal governo Monti, era proporzionale alla lunghezza dei panfili e scattava oltre i 14 metri di lunghezza. Nei fatti, un prelievo statale sulla proprietà di lusso: redistribuzione fiscale ragionevole, per limitare le disuguaglianze e favorire i ceti meno abbienti, secondo alcuni, un gravame insopportabile che non soltanto non ha garantito le entrate preventivate, ma che ha paralizzato l’indotto economico e il mercato di una delle eccellenze della marineria italiana, secondo altri.

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Tassa sugli yacht e Tassa di Stazionamento

In verità, già dall’epoca della sua introduzione, la Tassa sugli yacht si dimostrò subito fortemente vessatoria per la categoria della vela e della nautica. L’imposta, secondo la formulazione fiscale del decreto Salva-Italia, non teneva conto né dell’età di consunzione del bene né del suo effettivo valore di mercato. Tale contesto si è tradotto in un conseguente abbassamento del gettito previsto, portando i costi della riscossione statale ai paradossali livelli più alti, rispetto alla gestione delle entrate ottenute. Insomma esigere tale tributo, allo Stato italiano, sarebbe costato più dei profitti effettivamente incamerati. Per le medesime motivazioni, nel 2003 (e precisamente dall’Art.15 della Legge 8 luglio 2003, n. 172 di riforma della nautica) era stata abrogata anche la Tassa di Stazionamento. Soddisfazione è stata espressa in proposito dal presidente di Ucina, la Confindustria Nautica, Carla Demaria: “Quanto successo oggi è l’ulteriore riprova del confronto costruttivo dell’Associazione con le forze politiche e il Governo che arriva in un momento importante. Servirà a ridare fiducia al mercato”.

La Tassa sugli yacht e l’evasione fiscale

La fuga dei capitali, generata nell’arco di tempo dalla Tassa sugli yacht, ha ulteriormente depresso la categoria. I principali porti della navigazione marittima italiana hanno visto dimezzarsi le presenze degli scafi di lusso al loro interno, con conseguente perdita di posti di lavoro, venendo superati, in quanto ad accoglienza onerosa delle imbarcazioni, da altre località del Mediterraneo. Secondo alcune stime Ucina, nel quinquennio 2008-2013, l’impresa italiana delle grandi barche ha perduto più del 60 per cento del fatturato composito.

Riccardo Piazza

L'autore: Riccardo Piazza

Nasce a Palermo nel 1987 e si laurea in Filosofia della conoscenza e della comunicazione presso l’Università del capoluogo siciliano nel 2010. Prosegue i suoi studi specialistici in Scienze filosofiche all’Università di Milano dove consegue il Diploma di laurea Magistrale nel 2013. Scrive per alcune riviste telematiche di letteratura e collabora, quale giornalista, per diverse testate d’informazione occupandosi di cronaca parlamentare, costume e società. Si dedica attivamente allo studio dell'economia e del pensiero politico contemporaneo ed è docente di storia e filosofia. Gestisce un blog: http://www.lindividuo.wordpress.com Su twitter è @Riccardo_Piazza
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