C’è crisi economica? Dipende da chi governa (o da quanto mi paghi)

Pubblicato il 2 Gennaio 2016 alle 13:56 Autore: Emanuele Vena
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C’è crisi economica? Dipende da chi detiene il potere o da quanto sei disposto a pagare per ottenere una risposta. Questo è il succo di diversi studi condotti da gruppi di ricercatori in merito all’opinione pubblica statunitense.

Secondo quanto spiegato dal New York Times, il fattore principale in grado di influenzare la risposta degli intervistati non è la cronaca quotidiana, dai dati diffusi dai media sul tasso di disoccupazione alle ipotetiche disavventure lavorative vissute in famiglia. Ciò che più influenza la risposta alla domanda “come va l’economia?” è l’indice di gradimento nei confronti dell’inquilino della Casa Bianca.

A supporto di tale tesi, il NYT snocciola diverse prove lungo gli ultimi 30 anni, a partire dall’alto tasso di percezione positiva degli elettori repubblicani alla fine del secondo mandato Reagan sino allo scetticismo degli stessi elettori GOP dinanzi alla possibilità di una riduzione del deficit dopo 5 anni di presidenza Clinton. Un trend confermato anche dalle diatribe tra fazioni contrapposte sui dati economici susseguitisi durante i mandati di George W. Bush e Barack Obama.

Come fare per ottenere risultati più “sinceri”? A spiegare la strategia più efficace sono due nuovi studi pubblicati sul The Quarterly Journal of Political Science e svolti dalle equipe di ricercatori delle Università del Texas e di Princeton.

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Crisi economica? Dipende da chi governa (o da quanto mi offri)

Secondo gli studi, l’elargizione di un piccolo premio in denaro – 1 o 2 dollari – spinge gli intervistati ad esprimere un’opinione più obiettiva. Questo a dimostrazione di come – secondo John Bullock, a capo del gruppo di studiosi texani – la gente non sia particolarmente sincera durante le interviste ordinarie. I risultati dell’osservazione condotta dalla sua equipe hanno dimostrato come 1 dollaro per una risposta netta e 33 cents per un “non so” siano sufficienti per eliminare l’effetto “partigiano” dovuto alla vicinanza o meno al partito di maggioranza o di opposizione.

Tuttavia, secondo lo studio di Princeton, l’inserimento del nome del presidente all’interno della domanda – “L’economia va meglio con Obama rispetto a Bush” invece di “l’economia va meglio rispetto a 7 anni fa” – riduce il tasso di obiettività, facendo evidentemente riaffiorare la tendenza allo schieramento politico in fazioni contrapposte.

In sostanza, esistono mezzi in grado di stimolare (con più o meno successo) l’obiettività dell’opinione pubblica. Ma quali sono le implicazioni di tali risultati per le ricerche demoscopiche o, più semplicemente, per la democrazia?

Secondo Markus Prior – uno dei ricercatori di Princeton – ciò è positivo per la democrazia ma negativo per gli istituti di sondaggi. Meno drastico il giudizio di Bullock, che anzi sottolinea la gravità della persistenza di un elettorato che continua a mantenere giudizi prestabiliti indipendentemente dalla situazione economica e geopolitica, evitando così che leader e partiti politici vengano premiati o puniti per quanto effettivamente prodotto.

L'autore: Emanuele Vena

Lucano, classe ’84, laureato in Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna e specializzato in Politica Internazionale e Diplomazia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova. Appassionato di storia, politica e giornalismo, trascorre il tempo libero percuotendo amabilmente la sua batteria. Collabora con il Termometro Politico dal 2013. Durante il 2015 è stato anche redattore di politica estera presso IBTimes Italia. Su Twitter è @EmanueleVena
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