Medio Oriente: come procedono le cose in Siria e in Iraq?

Pubblicato il 16 Giugno 2016 alle 12:13 Autore: Riccardo Piazza
Medio Oriente

Nel giugno del 2014 Abu Bakr al-Baghdadi, salendo con deambulazione ieratica fino allo scranno più alto gli scalini della Moschea di Mosul, chiedeva la fedeltà e l’obbedienza di tutti i musulmani, dando seguito alla proclamazione ufficiale di un nuovo Califfato islamico nei territori occupati, con forza e lama di sciabola ricurva, prima nell’Iraq occidentale, dunque nella Siria settentrionale. Era la nascita dello Stato islamico, Daesh prendeva forma e sostanza, nonostante la sua essenza fosse già ben viva e attiva ancor prima di quella data fatidica, il Medio Oriente, assisteva impotente all’ascesa di un nuovo sedicente, autoproclamato, successore del Profeta.

Medio Oriente: lo Stato islamico e l’odierno scenario bellico in Iraq

Era a tutti chiaro che il mondo non sarebbe potuto certo rimanere indifferente a fronte della nuova sfida lanciata dall’Is, meno chiara era invece la responsabilità decisionale dei singoli Stati chiamati alla reazione. Eppure, nell’arco del tempo, le potenze occidentali si sono dimostrate balbettanti, al più claudicanti, mai davvero unite nella costruzione di una strategia comune. Si pensi all’Iraq: la prima grande risoluzione fu quella di non prendere immediate risoluzioni. Gli Stati Uniti d’America, cui tutti guardavano con crescente insistenza attendendo di comprendere cosa fare, specie a seguito delle campagne stragiste e truculente avviate dallo Stato islamico contro ribelli, oppositori politici, giornalisti e cooperanti, nicchiavano un eloquente “No boots on the ground”, limitandosi alla creazione di una lega di Stati internazionale di ampio respiro, da opporre all’Isis, e ad un supporto logistico e d’addestramento militare per le forze d’opposizione sul campo, leggasi i curdi, coadiuvato da bombardamenti aerei mirati. Nella memoria di Washington risiedeva ancora netta l’immagine di quella Odissea scriteriata affrontata per la conquista di Baghdad nel 2003, pietra angolare della “Lotta al terrore” lanciata dall’amministrazione Bush.

Con il senno di poi, le scelte politiche di Barack Obama sul fronte iracheno e in generale in tema di politica estera, probabilmente verranno rilette dalla critica sotto un portato diverso: certo quali fonti di uno squilibrio netto di potere nei bilanciamenti geopolitici endogeni dell’intero Medio Oriente. Una teoria del primato a stelle e strisce venuta meno proprio nel suo bacino d’egemonia e controllo più canonico: i conflitti internazionali. Massimo Teodori, in un saggio recente, si è chiesto, in chiave storica, a cosa possa preludere tale superamento d’intenti, rimandando ad un nuovo modello di esercizio del potere.

In Iraq, nel corso del biennio 2014-2016, la sostanziale inconsistenza politica del governo di pacificazione nazionale con a capo Haydar al-‘Abadi , insediato alla morte di Saddam Hussein con il placet dei marines, e le guerre civili mai sopite fra le tradizioni sciite e sunnite, hanno nei fatti spianato la strada agli eserciti del “nuovo Islam” di al-Baghdadi. Oggi, a due anni di distanza dal suo violento palesarsi, Il Califfato, secondo fonti della coalizione internazionale a guida Usa, avrebbe perso il 40% dei territori conquistati e le sue truppe sarebbero in rotta, accerchiate dai lealisti presso la città di Falluja.

Medio Oriente: la Siria, Assad e l’assedio di Aleppo

Diversa è invece la situazione all’interno dei territori siriani. Mentre continua strenuamente a resistere inviolata una delle ultime roccaforti sotto l’egida della Sharia dello Stato islamico, nonché capitale dell’intero Califfato, Raqqa, la partita importante si svolge tutta nella città di Aleppo, dove le forze ribelli al regime di Damasco, retto da Assad, e le forze dell’esercito autoritario stanno dilaniandosi in un abbraccio mortale che si trascina ormai da ben quattro anni.

In quella che un tempo era la più grande città della Siria, vera e propria ametista preziosa del Medio Oriente ora ridotta ad un cumulo di macerie in lenta decomposizione ed in perenne bisogno d’aiuto umanitario basilare, il Califfato islamico controlla soltanto alcune zone marginali. La maggior parte dei quartieri è invece preda dei bombardamenti continui da parte delle forze fedeli al regime di Damasco assistite dal non indifferente supporto bellico della Russia di Putin. Aleppo rappresenta una vera e propria guerra nella guerra. Assad infatti, inviso agli Stati Uniti d’America, fin dall’inizio delle ostilità, si è dimostrato più attento a reprimere i ribelli del libero esercito siriano che non a fronteggiare l’avanzata dello Stato islamico in sé.

L’assedio di Aleppo rischia di scardinare definitivamente i grimaldelli del conflitto, in un quadro generale che vede l’Isis in regressione sul territorio, ma sempre e comunque attivo e imprevedibile nell’attività stragista globale per via di un apparato di indottrinamento pervasivo, il web è il primo riferimento, nonché fatalmente molecolare.

Riccardo Piazza

L'autore: Riccardo Piazza

Nasce a Palermo nel 1987 e si laurea in Filosofia della conoscenza e della comunicazione presso l’Università del capoluogo siciliano nel 2010. Prosegue i suoi studi specialistici in Scienze filosofiche all’Università di Milano dove consegue il Diploma di laurea Magistrale nel 2013. Scrive per alcune riviste telematiche di letteratura e collabora, quale giornalista, per diverse testate d’informazione occupandosi di cronaca parlamentare, costume e società. Si dedica attivamente allo studio dell'economia e del pensiero politico contemporaneo ed è docente di storia e filosofia. Gestisce un blog: http://www.lindividuo.wordpress.com Su twitter è @Riccardo_Piazza
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