Diritto all’oblio: in realtà non si può tutelare la privacy

Pubblicato il 23 Settembre 2016 alle 16:18 Autore: Redazione
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Diritto all’oblio: in realtà non si può tutelare la privacy

Il diritto all’oblio è stato introdotto nell’ordinamento dell’Unione Europea nel 2014 dalla Corte di Giustizia dopo la richiesta di un imprenditore debitore dello stato Spagnolo. Se ne è ricominciato a parlare in questi giorni dopo il caso di Tiziano Cantone. Ma è una normativa fumosa e confusa. Ecco di cosa stiamo parlando.

Diritto all’oblio: in realtà non si può tutelare la privacy

Dopo il tragico caso dei Tiziana Cantone, la 31enne suicidatasi dopo la diffusione sul web di alcuni suoi video hard – diffusione avvenuta contro il suo volere – la stampa italiana ha cominciato a interrogarsi sul cosiddetto “diritto all’oblio”. In che cosa consiste sostanzialmente?

Per tentare di capire di cosa stiamo parlando partiamo dobbiamo ripercorrere la vicenda dell’imprenditore spagnolo Costeja Gonzalez, che oltre due anni fa chiese a Google di deindicizzare i post e gli articoli relativi ad una vicenda che lo riguardava, risalente tra la fine degli anni 90 e l’inizio dei 2000. L’erario spagnolo pignorò alcuni suoi immobili per riscuotere alcuni debiti che l’imprenditore aveva con lo stato. La vicenda poi si risolse, ma attraverso Google rimase possibile risalire ad alcuni articoli de La Vanguardia che trattavano ampiamente il tema, screditando la figura di Gonzalez.

Dopo un’iniziale rifiuto di Mountain View, Gonzalez si rivolse all’Agenzia spagnola per la protezione dei dati, che ordinò al colosso digitale di cancellarne i dati. Google a sua volta, sottopose il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che, dopo un attento esame, emanò la famosa sentenza del maggio del 2015: motori di ricerca come Google hanno il dovere di rimuovere risultati che includono il proprio nome se questi sono “inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti oppure eccessivi”.

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Tale normativa ha però dei limiti: il diritto all’oblio agisce, come sostiene il Corriere della Sera, solo su una domanda specifica che faccia espressamente riferimento al nome di una persona, ma non prevede la cancellazione o la modifica delle fonti. Tale limite ci rimanda proprio alla triste vicenda di Tiziana Cantone: la famiglia chiese la rimozione dei video della ragazza, che fu poi disposta dal Tribunale di Napoli. Decisione che non fu rispettata da alcuni gestori, utenti e siti di informazione, non essendo obbligati questi ad intervenire direttamente sulle fonti.

C’è poi un secondo limite, relativo all’inefficacia intrinseca di tale strumento: controllare la violazione di tale diritto sul web è praticamente impossibile.

La materia è spiegata in maniera efficace dal Garante per la privacy Antonello Soro, in una recente intervista alla Stampa: “Possiamo parlare della maggiore o minore efficacia degli strumenti, della lentezza dei giudici, però bisogna anche essere onesti: la tutela di una persona che finisce in un meccanismo del genere è praticamente impossibile”, e continua, “il vero problema è a monte”. E quale sarebbe, secondo Soro il problema “a monte”? “La ferocia e la violenza della nostra società” sostiene il garante, che sottolinea, “il diritto all’oblio interviene sul mezzo, internet, ma non sulle persone che lo popolano. Si possono cancellare e correggere errori pubblicati nel web, ma è impossibile una rimozione totale se non si interviene sul livello d’odio e sull’invasione della sfera privata delle persone”. E conclude:” ci si può difendere solo educando, ad esempio introducendo la materia di educazione civica digitale fin dalla prima elementare”.

Giacomo Pellini

L'autore: Redazione

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