Elezioni Francia: una bomba pronta a esplodere

Pubblicato il 23 Gennaio 2017 alle 12:10 Autore: Livio Ricciardelli
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Elezioni Francia: una bomba pronta a esplodere

Tutto nacque dall’Italia. Sì, dall’Italia. Il Partito Socialista di Francia non toccava palla da anni, si dimostrava incapace di esprimere una leadership forte e nonostante vincesse gran parte delle elezioni di “medio termine” (in primis le regionali e le dipartimentali) ogni qual volta che si votava per il Presidente e l’Assemblea Nazionale, erano i post-gollisti a dominare.

Elezioni Francia: le primarie all’italiana

Gli eredi dell’Rpr risultavano essere un vero e proprio partito della nazione, che proprio per questo assumeva le sembianze di una forza politica anomala nel panorama politico del popolarismo europeo. Erano del resto gli anni successivi al 2002, quelli del terzo posto di Jospin alle presidenziali e col clamoroso risultato di Jean-Marie Le Pen al secondo turno.

Nacque allora l’idea, all’allora segretario del Ps Francois Hollande, di prendere esempio di alcuni meccanismi di selezione della classe dirigente…che provenivano dall’Italia. Dopo averle sperimentate timidamente per alcune questioni locali (a Bologna nel 1999 ed in Puglia alla vigilia delle regionali 2005) il centrosinistra italiano scelse proprio lo strumento delle primarie per selezionare il suo candidato premier.

Un sistema di partecipazione del tutto inedito in Italia e che non a caso si rivelò non privo di incognite (impossibile stimare i risultati dei singoli candidati, per quanto il vincitore fosse certo, così come risultava impossibile prevedere l’affluenza alle urne). L’esperimento andò bene e per certi versi si riuscì addirittura a trarne un profitto economico.

Elezioni Francia: la mossa di Hollande

Hollande annotò tutto. Già nel 2004 aveva sperimentato (ma non è un evidente esautoramento del gruppo dirigente? Vabbè…) un referendum interno al partito per scegliere quale linea tenere sul referendum in merito alla Costituzione Europea (esito referendario ampiamente non rispettato da gran parte del partito). Nel 2006 invece toccò alle primarie: come in Italia, per scegliere il candidato dello schieramento alla Presidenza (non del Consiglio ovviamente ma della Repubblica).

Da quel momento in poi primarie aperte e partecipate (capaci di andare oltre la mera mobilitazione degli iscritti del partito o dei partiti) sono diventati prassi per la sinistra francese: dopo il precedente del 2006, furono riutilizzate nel 2011 in vista delle presidenziali di un anno dopo. Per arrivare ad oggi, al ballottaggio che tra sette giorni coinvolgerà Manuel Valls e Benoit Hamon (che ben conosce da ex portavoce del Ps questo tipo di strumento).

Elezioni Francia: primarie, da sinistra a destra

Il sistema si è addirittura esteso a destra: anche in un partito che aveva tutt’altro meccanismo di selezione (nel 2007 Sarkozy fu scelto come candidato unico da una grande assemblea dell’Ump…altro che Segolene Royal!) ora si adotta questo strumento. E con due caratteristiche:

1) Le primarie in Francia (per quanto di recente siano state molto criticate dal candidato alla Presidenza Macron) hanno quasi sempre portato ad una buona affluenza di partecipanti. Per quanto i sistemi di partecipazione possano variare, quasi sempre si tratta di un potenziale guadagno economico per il partito, quasi alla stregua di una campagna di sottoscrizione.

2) Negli ultimi casi queste elezioni hanno portato ad esiti imprevisti (e qui rientra l’impossibilità dei sondaggi di stimare una cosa inestimabile se non quasi inedita): i due vincitori del primo turno delle primarie della destra e della sinistra, Fillon e Hamon, erano considerati nella migliore delle ipotesi candidati in grado di arrivare terzi al primo turno. C’è il rischio che invece uno dei due si ritrovi tra qualche mese all’Eliseo.

Elezioni Francia: un oceano di incertezze

La grande partecipazione popolare delle primarie dei Les Republicains e gli esiti imprevisti di entrambe le primarie ci riportano invece ad un punto di partenza della politica transalpina: quella che vede i gollisti come “partito della nazione” (tanto che vanno a votare alle primarie quattro milioni di persone, come se quello schieramento rappresentasse la parte più mobilitata di un intero paese) e l’impossibilità degli istituti demoscopici di campionare seriamente questo tipo di competizione.

Solo due cose sono radicalmente cambiate rispetto alla prima volta in cui si sperimentò questo strumento: il potenziale elettorale del Front National e la politica di posizionamento dei singoli leader all’interno della competizione interna al partito. Francois Fillon ha sposato la causa liberista quasi solo per collocarsi ed emergere all’interno della competizione interna. Differenziandosi dagli altri competitors. Questo può avere effetti positivi (gli ha consentito di vincere) ma per certi versi anche negativi (quanto riuscirà a smarcarsi dall’anomala tradizione reaganiana d’oltralpe?).

Il tutto in un quadro in cui sarebbe assolutamente ingenuo politicamente credere che un ipotetico ballottaggio Fillon-Le Pen si possa risolvere in un automatico “travaso di voti” (per dirla alla Giorgio Panto) dei voti di tutti gli altri candidati a favore di Fillon. Illusioni. Perché nulla è per sempre. Nemmeno le Unioni Sacre.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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