Fincantieri-STX: l’interesse nazionale e l’europeismo miope

Pubblicato il 2 Agosto 2017 alle 14:05 Autore: Luca Scaglione
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Fincantieri-STX: l’interesse nazionale e l’europeismo miope

Fino a qualche giorni fa sembrava solo una boutade del governo francese. Ora, la nazionalizzazione dei cantieri navali di Saint Nazaire, sta diventando realtà. Il ribaltone rispetto agli accordi stabiliti dopo lunghe trattative con i precedenti governi dell’era Hollande ha definitivamente preso forma. Gli accordi erano chiari e l’acquisizione della maggioranza nelle mani di Fincantieri assicurata. Poi, l’annuncio di Macron e il titolo Fincantieri che ha dovuto scontare un considerevole ribasso delle quotazioni. “Nazionalizzazione temporanea per ragioni di rilevanza strategica”. Questa la formula per giustificare la mossa a sorpresa di quello che si ritiene l’esecutivo più market friendly della storia recente di Francia.

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Fincantieri-STX: l’interesse nazionale e l’europeismo miope

È bene ricordare che la maggioranza di STX, precedentemente all’accordo con l’Italia, era in mano ad una società sudcoreana. Pertanto il richiamo allo status di “rilevanza strategica” dei cantieri è un escamotage del nuovo presidente per smarcarsi dall’eredità del predecessore; altrimenti dimostra che l’Italia, a differenza della Corea del Sud, viene considerata un competitor diretto.

Propendendo verso la seconda interpretazione c’è da rabbrividire. Questo evento oltre ad essere l’ennesimo segnale di quanto è ridicolo giudicare un candidato da qualche frase di propaganda detta in campagna elettorale, deve servire da monito decisivo verso chi ancora si ostina a ricoprire la politica reale di una squallida melassa di buone intenzioni.

L’idealistica ricerca di europeismo da parte dei commentatori italiani ancora una volta, ha descritto quello che era semplicemente l’unico candidato presentabile per la classe dirigente francese contro l’ascesa di Marine Le Pen, come la nuova speranza per l’unificazione europea. Si può sostenere che una simile inclinazione all’invocazione acritica di europeismo non sia diffusa soltanto tra giornalisti e commentatori, ma sia mainstream anche in gran parte dell’élite politica e dirigenziale del paese.

L’appello continuo e retorico all’Europa, ha caratterizzato numerosi dossier tra i quali possiamo ricordare l’Unione Bancaria, le questioni di politica estera (Libia, Siria, Turchia, etc…) e non da ultima la questione immigrazione. Sperare in una futura accelerazione dell’unità europea può essere senz’altro un’aspirazione onorevole; ciò non toglie che dimenticare la realtà intergovernativa dell’esecutivo comunitario è un errore da evitare a tutti costi.

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Occorrere mettersi in testa che l’Europa per i nostri partner è, in modo molto pragmatico, il luogo preposto alla protezione degli interessi strategici nazionali. Niente a che vedere rispetto all’incanto continuo delle prospettive di maggiore integrazione di cui è semplice riempirsi la bocca.

Il veto sugli Eurobond, su un’assicurazione unica dei depositi bancari, su un bilancio condiviso, i “salvataggi” greci e tutte le volte che proposte di maggiore integrazione politica ed economica si sono scontrate con la Costituzione tedesca, non sono bastate a capire l’idea di Unione e solidarietà paneuropea dei nostri partner. Possibile che, anche questa volta, dopo l’affare Telecom, l’esclusione dai negoziati sulla Libia, il divieto di concedere i porti francesi e di smilitarizzare la frontiera di Ventimiglia, ed ora STX, non riusciremo a cambiare atteggiamento?

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Fincantieri-STX: l’interesse nazionale e l’europeismo miope

La debolezza negoziale dell’Italia è in parte una misura di questo equivoco. Condurre trattative decisive con paesi coesi e fortemente orientati a consolidare le proprie posizioni all’interno delle istituzioni europee per la difesa degli interessi nazionali, non ammette cedimenti di alcun tipo, neanche di carattere retorico.
Dati questi consolidati rapporti di forza, ogni passo verso una maggiore integrazione equivarrebbe ad un’ulteriore marginalizzazione del ruolo del nostro paese sia nelle sedi europee che nei consessi internazionali. E noi continueremo a non accorgercene, invocando il sogno degli “Stati Uniti d’Europa”.

La decisione della Francia, storicamente avvezza a pratiche dirigiste e interventiste, ci ricorda che i centri d’interesse capitalistici in competizione (che a volte seguono quelle fratture nazionali che ancora sussistono) non disdegnano dell’aiuto, se non del vero e proprio soccorso, di quel “vecchio arnese” dello Stato.

Fincantieri va pertanto sostenuta con forza. Il Governo e i ministri devono difendere l’accordo precedente nelle trattative riapertesi con la Francia. Senza tentennamenti, subalternità e richiami retorici di qualsiasi sorta. Ma soprattutto tocca fare i conti con la realtà e smettere di raccontarci storielle auto assolutorie. Una volta per tutte.