Elezioni Brasile 2018: intervista a Amauri Chamorro, consulente e analista politico

Pubblicato il 29 Ottobre 2018 alle 11:20 Autore: Alessandro Faggiano
amauri chamorro elezioni brasile 2018

Elezioni Brasile 2018: intervista a Amauri Chamorro, consulente e analista politico

È il giorno delle elezioni in Brasile e, a meno di clamorosi colpi di scena, Jair Bolsonaro sarà il successore di Michel Temer. Il candidato di estrema destra è considerato una “creazione” di uno degli ideologi dell’alt-right statunitense, Steve Bannon. Il profilo di Bolsonaro, tuttavia, è sempre stato radicale e controverso.

Per comprendere meglio il fenomeno Bolsonaro e le ragioni del suo successo elettorale, intervistiamo l’esperto consulente e comunicatore politico, Amauri Chamorro. Ecuadoregno, vive da molti anni in Brasile ma ha lavorato in quasi tutti i Paesi dell’America Latina come consulente di esponenti del progressismo latinoamericano. Nel suo tour per l’Europa, abbiamo avuto il piacere di incontrarlo a Madrid, per una lunga chiacchierata sulle elezioni brasiliane, il lawfare e lo stato della sinistra in Europa e in America.

L’intervista è suddivisa in due parti. Qui, parliamo del tema di politica estera del momento: le elezioni in Brasile.

Intervista a Amauri Chamorro, analista ed esperto in comunicazione politica. Parliamo di Elezioni Brasile 2018

Faggiano: Benvenuto Amauri e grazie per accettare questo invito.

Chamorro: Grazie a voi, per lo spazio concesso, perché questo tipo di lavoro realizzato da voi è alternativo alla matrice egemonica e informativa, che tanto ha inciso sulla storia dei nostri popoli.

Faggiano: grazie Amauri. In primo luogo, cos’è accaduto nel primo turno delle presidenziali in Brasile? Com’è possibile che Bolsonaro abbia conseguito un successo così rotondo ed evidente?

Chamorro: Beh, in realtà nessuno se lo aspettava, nemmeno lo stesso Bolsonaro. Lui parlava di una vittoria al primo turno ma, più che altro, per creare interesse, generare impatto mediatico e chiamare l’attenzione su di sé. Non perché credesse davvero di vincere al primo turno. Più di 46 punti percentuali sono molti per un candidato che fino a un anno fa non era null’altro che un deputato federale di Rio de Janeiro, che portava avanti un discorso fascista – che in un certo qual modo già era nell’immaginario brasiliano – ma a partire da un punto di vista “grazioso”: per l’utilizzo del black humor; con la sua maniera di immaginare e pensare il mondo attraverso le armi. In linea di massima, questo è Bolsonaro.

Allora, cos’è successo in queste elezioni, al primo turno? Non possiamo accantonare le contraddizioni di questo processo elettorale senza porre sul tavolo il tema del presidente Lula.

Lula è attualmente condannato e gli è stato impedito di partecipare alle elezioni. Ciò ha permesso che la disputa si svolgesse tra Jair Bolsonaro (candidato dell’estrema destra brasiliana) e il PT (partito dei lavoratori), attraverso Fernando Haddad. Un candidato conosciuto dalla gran parte del pubblico brasiliano, che fu ministro d’educazione durante la presidenza Lula e sindaco di San Paolo (città con 10 milioni di abitanti).

Faggiano: i sondaggi d’opinione mostrano che il prestigio di Lula e l’appoggio della cittadinanza rimane decisamente alto. Allora, come si spiega questa sconfitta così pesante per il PT se, alla fine, i brasiliani continuano a dare ampia fiducia a Lula?

Chamorro: guarda, Haddad, come qualsiasi candidato che succede a una grande leadership – come nel caso del presidente Lula -, non riceve un voto massivo solo perché è il nome che rappresenterà l’ex presidente. Il trasferimento di voti è difficile e non si costruisce solo attraverso l’inerzia e la forza del presidente Lula. Fernando Haddad non ha quindi ricevuto quei voti che sì avrebbe potuto conseguire Lula, e che gli avrebbero permesso di vincere già al primo turno.

In secondo luogo: il Brasile è un Paese formato da una maggioranza di persone povere, di classe medio-bassa, dalla forte connotazione conservatrice e fortemente vincolata alla Chiesa evangelica (al quale si vincolano questi settori sociali). Questi non sentivano una forte differenza con il discorso di Lula. Questo perché Lula Da Silva ha sempre fondato il suo discorso sul lato economico: la crescita, lo sviluppo, più lavoro, riduzione delle disuguaglianze e migliori salari. Una agenda politica valida anche per persone conservatrici.

Una settimana prima di celebrare le elezioni, si organizzò una gran manifestazione: una marcia (rinominata “el No”) contro Bolsonaro. E così, cosa succede? Che tutti quei conservatori – morali (non economici), di classe medio-bassa e affini alla Chiesa evangelica -, che videro donne, trans e drag queen sfilare per la avenida di San Paolo, provarono un forte repulsione verso Fernando Haddad.

Elezioni Brasile 2018: Haddad, candidato non ideale?

Faggiano: quindi, c’è stato un errore comunicativo da parte del PT o, semplicemente, Haddad non era il candidato perfetto per queste elezioni, per fronteggiare Bolsonaro?

Chamorro: In primo luogo, ci tengo a specificare che sono a favore dell’aborto, del matrimonio egualitario e dell’agenda femminista. Ma c’è da dire, d’altra parte, che stiamo disputando delle elezioni generali. Nel momento in cui ci si presenta con una agenda di minoranza, proprio nel momento in cui necessiti di un gran appoggio popolare, si permette ai conservatori di unirsi contro Fernando Haddad. Qui entra un altro elemento: l’anti-PTismo. Molte persone dicevano: “voto qualsiasi cosa, tranne il PT”. C’è anche da dire, però, che molti non vedevano a Bolsonaro come un fascista, aggressivo, violento e che incita all’assassinio.

Faggiano: mi sembra che questo sia un errore comunicativo commesso in molte occasioni dalle sinistre europee. Tuttavia, c’è da dire che il profilo di Bolsonaro è davvero duro: di una persona reazionaria, autoritaria, ultra-conservatrice. Dove e quando il discorso di Bolsonaro ha attecchito nella società brasiliana?

Chamorro: come analista e comunicatore politico, saprai che, in primis, c’è da analizzare il pubblico al quale ci dirigiamo. Il Brasile è il Paese dove muoiono più persone al mondo per assassinato. Se non sbaglio, l’anno scorso sono morte 70.000 persone. La gran maggioranza, uomini giovani, di discendenza afroamericana, di classi disagiate. C’è un genocidio silenzioso in atto e la società assorbe questa violenza con molta naturalità. Inoltre, dobbiamo comprendere che un 30% della popolazione brasiliana si dichiara evangelica, e che è quindi legata a una ferrea dottrina morale dal carattere conservatore.

E ancora, dobbiamo considerare che in Brasile è fortemente radicata una cultura machista. Lula non forzava nel prendere una decisione tra sviluppo e diritti LGTBI. Lo sviluppo va di pari passo con la crescita di diritti civili e sociali. Ma questo non si può dire. Perché è un’agenda che è vincolata a una minoranza sociale: ai giovani dei centri urbani di classe medio-alta.

Rafael Correa diceva che dobbiamo comprendere che la gente in America Latina continua a morire di diarrea. Che c’è un grave problema legato alla mancanza di acqua potabile. Perciò: non è che non sia importante l’agenda femminista. Ma non si può costruire una agenda a partire da quelle lotte, perché non mobilitano la gente in maniera massiva.

C’è da considerare che Haddad è conosciuto ma non tantissimo, come Lula, e che non ha un grandissimo carisma, nonostante sia stato il miglior ministro d’educazione del nostro Paese. Ma Haddad di fronte aveva un Hitler, con i panzer. Ci voleva una personalità e un discorso forte. Questo perché la società brasiliana ha vissuto, negli ultimi anni, un incremento della percezione del caos e della corruzione.

Elezioni Brasile: il ballottaggio “scontato” Bolsonaro-Haddad

Che ruolo hanno avuto i mezzi di comunicazione nelle elezioni Brasile 2018

Faggiano: riguardo l’incremento della percezione del caos e della corruzione, che ruolo hanno giocato i mezzi di comunicazione?

Chamorro: quello è un punto chiave. I mezzi di comunicazione hanno diffuso il caos. Il Brasile stava crescendo economicamente: sotto la presidenza Dilma si sono visti i migliori livelli di disoccupazione nella storia del Paese, nonostante una fase di recessione. E poi arrivarono quei gruppi, da O Globo fino al gruppo Abril, con una agenda anti-Lula e anti-sinistra. Hanno diffuso il messaggio che qui c’è il caos. Allora, qual è stata la risposta? Un Paese conservatore, machista, razzista, evangelica e ignorante dal punto di vista dell’educazione, ha trovato in Bolsonaro un candidato ideale.

Faggiano: e con la vittoria di Bolsonaro in queste elezioni Brasile 2018, sembra che finisca un ciclo che ha permesso alla sinistra di governare nella regione per un buon decennio.

Chamorro: No, non è la fine di un ciclo. Se dovessimo misurarlo numericamente, non possiamo fare questa analisi. Perché la maggioranza di questi processi non sono stati democratici. Moreno, Piñera, Macri, Temer. Tutti hanno vinto o avuto accesso al potere attraverso pratiche anti-democratiche, come il lawfare, influendo nel processo e impedendo l’espressione della volontà popolare. In America Latina abbiamo avuto cinque golpes de Estado.

Faggiano: credi che ci sia bisogno comunque di un cambio, tanto nella pratica politica come nell’ambito comunicativo? Forse è un discorso che andrebbe esteso al contesto mondiale. Le destre – a partire da Donald Trump – hanno conseguito rinnovare il proprio discorso, mentre le sinistre sembrano ancorate a vecchi stilemi.

Chamorro: In Europa però non si è mai vissuta un’epoca di sinistra, e il caso di Podemos non può essere un referente. Qui c’è Theresa May, ed Emmanuel Macron. Non c’è mai stata una vera nuova sinistra. Invece, in America Latina non c’è mai stato un cambio naturale della società verso destra, bensì una pratica sistematizzata di persecuzione, che impediva di concludere il mandato. Basti guardare al caso di Rafael Correa con il traditore Lenin Moreno, e ciò che è stato fatto al vicepresidente Jorge Glas, che è stato sbattuto in carcere senza nessuna prova a carico.

SEGUI TERMOMETRO POLITICO SU FACEBOOK E TWITTER

PER RIMANERE AGGIORNATO ISCRIVITI AL FORUM

 

L'autore: Alessandro Faggiano

Caporedattore di Termometro Sportivo e Termometro Quotidiano. Analista politico e politologo. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi di Salerno e con un master in analisi politica conseguito presso l'Universidad Complutense de Madrid (UCM).
Tutti gli articoli di Alessandro Faggiano →