La frattura etnica negli Stati Uniti d’America: le cause

Pubblicato il 5 Luglio 2021 alle 23:11 Autore: Julian Spazzi

Determinante causa di polarizzazione politica e di conflittualità sociale

In un precedente articolo abbiamo affrontato la crescita e i pericoli della polarizzazione politica americana. Uno dei più influenti fattori di tale situazione, e storicamente causa determinante del livello di conflittualità sociale, è sicuramente la frattura entica.

Il contrasto etnico, più o meno celato a seconda del periodo storico, tra la popolazione afroamericana e la popolazione “bianca”ha caratterizzato la storia degli Stati Uniti d’America . Esso affonda le sue radici nel sistema schiavistico, abolito solo nel 1865, e nel sistema di segregazione razziale – che ne è succeduto negli stati del sud fino agli anni 60 del 900- ed è ben presente tutt’ora. La rilevanza del movimento Black Lives Matter, la preoccupante presenza di gruppi di suprematisti bianchi e i forti scontri di piazza che hanno caratterizzato il 2020 ne sono un chiaro sintomo.

Tale scontro sociale, ovviamente, si riversa sul comportamento elettorale e sulla politica in generale, polarizzandola.

Ma non è tutto, negli ultimi decenni la situazione è stata resa ulteriormente più complessa dall’emergere di un’altra componente etnica, quella ispanica.

I valori demografici della frattura etnica negli Stati Uniti

Attualmente le principali etnie presenti negli USA sono: i caucasici, gli afroamericani e gli ispanici.
Il 60.1% dei cittadini americani si definisce infatti “bianco non ispanico”, il 18.5% si definisce “ispanico o latino” e il 13,4 % si definisce “nero o afroamericano”.
È importante sottolineare anche i trend demografici. Da una parte i “bianchi non ispanici” sono in costante declino e si prevede che tra poche decine di anni non saranno più la maggioranza assoluta, d’altra parte, invece, come precedentemente annunciato, gli ispanici sono in grossa crescita. La popolazione ispanica negli ultimi 50 anni è aumentata del 500% circa, passando dai 9.6 milioni del 1970 ai 60.6 registrati nel 2019.

Ovviamente, ciò si riflette sulle dinamiche elettorali. Non è un caso che alcuni esperti interpretano l’elezione di Trump come il canto del cigno di un gruppo etnico dominante che sente minacciata la sua supremazia.

Le divisioni elettorali

Nel comportamento elettorale sono riscontrabili delle importanti differenze tra i principali gruppi etnici, in alcuni casi chiarissime e in altri meno.

Come è possibile riscontrare nel grafico soprastante, elaborato dal think tank Pew Research Center, i democratici sono nettamente più plurietnici rispetto ai repubblicani.

Gli afroamericani

La popolazione afroamericana ha abbandonato da decenni l’ex partito di Lincoln, da tempo spostatosi a rappresentare gli elettori bianchi conservatori delle zone rurali e degli stati del sud, e ha iniziato a votare in massa per il partito democratico. Nel 2016 l’88% degli afroamericani votanti ha dato la sua preferenza a Hilary Clinton e l’8% a Donald Trump. Nelle elezioni del 2020 l’esponente democratico ha ottenuto l’87% dei voti afroamericani, mentre l’esponente repubblicano il 12%. Un chiaro e importante divario, che è Stato determinante, ad esempio, nella storica e doppia conquista democratica della Georgia.

Gli ispanici

Per quanto riguarda invece la componente ispanica la questione è più complessa. Anch’essi, sebbene in misura minore rispetto agli afroamericani, tendono a votare democratico. Nel 2016 il 65% degli ispanici che hanno partecipato alle elezioni ha votato per la candidata democratica e il 29% per il candidato repubblicano. Nel 2020 i democratici hanno registrato di nuovo il 65% tra la popolazione ispanica. Mentre invece i repubblicani hanno registrato un aumento di 3 punti percentuali, arrivando al 32%.

Il motivo di tale diversità rispetto al voto dell’altra minoranza risiede nella natura variegata della componente ispanica. Alcuni esperti affermano anche che in realtà il voto ispanico non esista. Gli ispanici, infatti, non votano come un blocco unico, ma la loro preferenza dipende da due macro-fattori. La vicinanza al processo di migrazione, più si è vicini e più si tende a votare democratico, e il Paese di provenienza. Difatti, la loro identità sociopolitica tende ad essere molto differente a seconda del Paese d’origine. I cubani e i venezuelani, ad esempio, votano maggiormente repubblicano rispetto ai messicani, probabilmente a causa dell’esperienza storica dei loro Paesi.

La natura federale del sistema istituzionale-elettorale degli Stati Uniti, unita al fatto che gli ispanici immigrati tendono a concentrarsi in alcune aree specifiche del Paese a seconda della nazionalità originaria, rende tale caratteristica determinante.

Non è un caso che l’unica vera vittoria di Trump nelle elezioni 2020 sia stata la Florida, Stato in cui nell’elettorato ispanico vi è una forte presenza di cubani -29%, rispetto al 4% a livello nazionale- e venezuelani. Mentre in Arizona, dove i messicani sono ampiamente maggioritari ha subito un’importante sconfitta.

Possibili scenari futuri

L’andamento demografico rende sempre più sconveniente per i repubblicani scegliere di non rappresentare tali minoranze. È dunque possibile che la strategia elettorale repubblicana subisca un radicale punto di svolta nei prossimi anni. Non è un caso, infatti, che alcune delle più importanti vittorie che i repubblicani hanno ottenuto alle elezioni congressuali -alla Camera dei deputati- sono arrivate tramite candidati/e ispaniche. Guardando ai dati della violenza politica – in deciso aumento, soprattutto quella di estrema destra e di stampo suprematistico -,  ciò non può che destare molte preoccupazioni.