Fine del Quantitative Easing: quali conseguenze?

Pubblicato il 19 Dicembre 2018 alle 16:05 Autore: Michele Mastandrea
Fine del Quantitative Easing: quali conseguenze?

Fine del Quantitative Easing: quali conseguenze?

A fine anno la Banca Centrale Europea metterà fine al Quantitative Easing. Vale a dire, al suo programma di acquisto di titoli di stato dei paesi dell’Eurozona. Leggasi del loro debito. Lungi dall’essere una semplice manovra di carattere economico, la fine del “bazooka“, come lo ribattezzò Mario Draghi, è destinata ad avere notevoli ripercussioni sulla nostra vita quotidiana.

Fine del Quantitative Easing: a cosa è servito negli ultimi anni?

L’acquisto di bond da parte della UE ha permesso in questi anni all’Italia di ridurre fortemente gli interessi sul suo debito. Questo perché la BCE assicurava di fatto al nostro paese di potersi finanziare al di fuori delle dinamiche di mercato. Ma anche di vendere a prezzi più alti i propri bond ad investitori privati. Ciò grazie all’abbassamento dello spread sui titoli che derivava dall’azione di Francoforte e alla relativa minore disponibilità di titoli sul mercato. Più alta la domanda, maggiori i prezzi.

In assenza del QE, l’Italia dovrà tornare a “convincere” gli investitori ad acquistare il suo debito. Assicurando dunque la possibilità di poter ripagare gli interessi agli investitori. L’equazione ritorna ad essere dunque pienamente politica. Ne consegue che una manovra o una serie di manovre che aumentano il debito pubblico potrebbero portare a una minore volontà del mondo della finanza di “aiutare” l’Italia. Una spina nel fianco per l’esecutivo giallo-verde. Dietro la recente retromarcia sui numeri del DEF si celano senza dubbio, da parte del ministro Tria, anche considerazioni su questo aspetto.

Fine del Quantitative Easing: gli effetti per il nostro paese

Se non si riuscirà a mettere in campo misure strutturali finalizzate ad aumentare la crescita o, come sarebbe auspicabile, a fare ripartire i consumi attraverso la redistribuzione della ricchezza e del potere d’acquisto su base più ampia, la fine del QE potrebbe portare il governo a dover varare nuove misure di austerità per finanziare il proprio indebitamento. Una scena già vista.

Negli ultimi anni, per rispondere ad una crisi del finanziamento del debito, l’azione dei governi è stata infatti quasi sempre la stessa. Ovvero, ridurre la spesa pubblica. Cosa che ha portato sul piano materiale a effetti rilevanti. La riforma Fornero delle pensioni può essere considerata un simbolo di questo atteggiamento. Una prospettiva che, come noto, è tutto il contrario di quanto promesso dall’attuale maggioranza. Che di fronte a sé ha la sfida di dover fare di meglio.

In un certo senso, la logica del Qe è stata quella di prendere tempo. La politica, iniziata nel marzo 2015, era pensata per dare fiducia agli Stati nei loro percorsi di ristrutturazione economica, da perseguire anche attraverso il deficit. Cosa si è fatto in questo periodo di tempo per attaccare le cause di lungo periodo della disoccupazione, aumentare il potere d’acquisto reale procapite, ridurre il proprio debito, contrastare la povertà? La fine del Qe porterà sul lungo periodo ad una valutazione dei “compiti a casa” degli Stati questi anni. Italia compresa.

Fine del Quantitative Easing: si riapre lo scontro dentro l’UE?

Per chi è stato poco diligente, causa volontà propria o incapacità, potrebbero arrivare tempi duri. Anche dovuti alla riapertura della frattura nord-sud dentro l’UE sulla direzione macroeconomica generale. Con l’uscita di scena di Draghi e con la fine del QE, non è detto non si riapra l’antica diatriba tra “cicale” e “formiche”.

I paesi nordici, Germania in primis, hanno infatti sempre visto il QE come uno strumento indebito di aiuto a Stati con finanze pubbliche in difficoltà. Nonostante del QE abbiano beneficiato soprattutto le banche tedesche che posseggono quote rilevanti del debito dei PIIGS. E senza contare che la Germania stessa ha beneficiato di extra-risparmi sul finanziamento del proprio debito dall’azione del “bazooka”. La cui fine potrebbe dunque riportare a galla alcuni vecchi problemi strutturali dell’Unione. I quali potrebbero influire non poco sull’esito del voto continentale di maggio.

SEGUI TERMOMETRO POLITICO SU FACEBOOK E TWITTER

PER RIMANERE AGGIORNATO ISCRIVITI AL FORUM

L'autore: Michele Mastandrea

Nato nel 1988, vive a Bologna. Laureato in Relazioni Internazionali all'università felsinea, su Termometro Politico scrive di politica estera ed economia.
Tutti gli articoli di Michele Mastandrea →