PIL del benessere e l’incombere del PIL

Pubblicato il 25 Settembre 2009 alle 20:28 Autore: Luigi Zoppoli
economia

PIL del benessere e l’incombere del PIL

 

PIL del benessere e l’incombere del PIL

Mai come in questi mesi di crisi la questione PIL, l’acronimo PIL è stato all’attenzione delle opinioni pubbliche di tutto il pianeta. E proprio la crisi, per tutto quanto ha comportato e sta comportando, riporta all’attenzione il concetto di PIL che, ad opinione di alcuni è divenuto un parametro necessario ma non sufficiente per misurare il benessere e la prosperità di un paese: nell’accezione oggi prevalente PIL manca di qualunque connotazione di tipo qualitativo. E’ un tema in discussione in Francia, ma già applicato in alcuni paesi come l’Olanda. Ma cosa in concreto un approccio non solo quantitativo voglia dire, si può capirlo leggendo l’articolo sul Sole 24 Ore: il PIL del benessere: il meglio sta in Romagna. A livello accademico e culturale è un tema assai intrigante e forse presenta degli aspetti di fondatezza che varrebbe la pena indagare. In questo frattempo però sarebbe il caso di non dimenticarsi del PIL in senso classico la cui caduta è fonte e sarà fonte di conseguenze piuttosto pesanti.

 

Tanto per esemplificare, si pensi allo scudo fiscale ed alle polemiche che sta suscitando l’allargamento del provvedimento in discussione in Parlamento. La ratio del provvedimento, attuato in forme e termini diversi da molti paesi, è nota e sono prontissimo a riconoscere che il governo vive con consapevolezza e senza soddisfazione alcuna la difficoltà dell’allargamento delle maglie etiche che esso, modificato, comporta. Ma questo è esattamente il segno di una preoccupazione che monta: quella di non riuscire a consuntivare le somme attese dal provvedimento pari a 5 miliardi. Non ammettere questo, senza che suoni giustifica, vuol dire non tener conto della difficoltà della situazione delle finanze pubbliche. La crisi ha falcidiato il gettito fiscale, da più parti si rileva che si è accresciuta la fascia dell’evasione specie in riferimento all’IVA, gli stabilizzatori automatici accrescono istituzionalmente la spesa, il debito pubblico accresce il suo peso. Non sono ricompresi elementi qualitativi, ma quelli quantitativi per quanto numerici ed aridi o incompleti e non esaustivi, sono perfino d’avanzo a descrivere una situazione difficile.

L’Italia, prima della crisi era già afflitta da una quasi stagnazione consuntivata da bassa crescita del PIL e perdita di competitività per quanto riguarda la produttività del lavoro, entrambi elementi determinanti nel rendere difficilissimo il risanamento delle finanze pubbliche. La prospettiva attuale è che se il peggio è passato, il peggio sta arrivando in termini di perdita di occupazione perfino nelle professioni dovuta a contrazione di non breve periodo dei consumi e negli scambi mondiali ed americani in particolare ma anche alle ristrutturazioni che il sistema imprese ha intrapreso per fronteggiare la crisi e prepararsi al futuro. Questo significa anche che, non essendo cambiata la cornice istituzionale dell’economia attraverso la riduzione energica di spesa pubblica e sprechi ed opportuni interventi di riforma e, soprattutto, di liberalizzazione, rimarranno intatte tutte le ragioni e gli ostacoli che generavano bassa crescita prima della crisi. La persistenza di questo scenario italiano, combinata con la lentezza della riprese dell’economia globale peserà assai di più nel dopo crisi per la situazione delle finanze e del debito pubblico fortemente accresciuto. E si dà il caso che l’unico modo di rientro e risanamento è la crescita robusta del PIL che a sua volta genera crescente gettito fiscale.

Ad adiuvandum ma nella difficoltà, vanno tenuti in conto i tassi di interesse. Essi sono oggi molto bassi ma è tranquillamente prevedibile che la ripresa sarà accompagnata da una (sperabilmente lieve) crescita dell’inflazione e dalla risalita dei tassi di interesse che sul debito ante-crisi pesavano per oltre 70 miliardi sul PIL. Senza intraprendere politiche di rilancio e risanamento il rischio è che vuoi per la mera risalita dei tassi di interesse, vuoi per il rischio spread rispetto ai titoli pubblici tedeschi che sono il parametro assoluto, il peso degli interessi sul debito tenderà a crescere in termini assoluti e/o relativi.

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