Rischio idrogeologico. C’era una volta il Bel paese.

Pubblicato il 23 Ottobre 2009 alle 00:18 Autore: Luigi Zoppoli
Rischio idrogeologico. C’era una volta il Bel paese.

di Bourbaki, tratto dal suo omonimo blog

Secondo una ricerca dell’Università di Firenze, in base a stime recenti il nostro Paese ha subito in media danni economici da dissesto idrogeologico per un valore di circa 2 miliardi di euro per anno con oltre 59 vittime ogni anno. Più che annunciata, quella che ha colpito il Messinese era una strage attesa.

Secondo la mappa del rischio idrogeologico curata dall’Agenzia per la protezione dell’Ambiente e Tutela del Territorio, sulla base degli ultimi dati disponibili aggiornati a gennaio 2003, sono 5.581 (il 70% del totale dei comuni italiani) i comuni a rischio idrogeologico, di cui 1.700 a rischio frana, 1.285 a rischio alluvione e 2.596 a rischio sia di frana che di alluvione.

Calabria, Umbria e Valle d’Aosta sono le regioni con la più alta percentuale di comuni classificati a rischio (il 100% del totale); seguono Marche(99%), Toscana (98%) e Lazio (97%). La dimensione del problema tuttavia non può essere trascurata anche nelle regioni con il minor numero di comuni a rischio. Ad esempio, in Sardegna (11% dei comuni a rischio), le frane e le alluvioni degli ultimi anni, come quella dello scorso ottobre nella provincia di Cagliari, hanno provocato vittime e danni ingenti.

Nel novembre 2008, Legambiente e il Dipartimento della Protezione Civile hanno condotto un’indagine, denominata Ecosistema Rischio, per conoscere la reale condizione dei comuni italiani considerati a rischio idrogeologico e valutare le attività messe in opera dalle amministrazioni locali per la prevenzione e la mitigazione del rischio. Meno di un terzo (27%) dei comuni a rischio ha risposto all’indagine, fornendo il quadro di un paese che nonostante le ripetute tragedie è sempre molto accondiscendente verso abusivismo, disboscamenti irrazionali, disinvoltura nel rimaneggiare piani regolari ed edificare con materiali di scarto.

Secondo i dati dell’indagine di Legambiente, il 77% dei comuni intervistati ha nel proprio territorio abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana. In quasi un terzo (29%) sono stati costruiti in tali aree interi quartieri, e nel 56%, addirittura, sono presenti in aree a rischio fabbricati industriali.

Nel 42% dei comuni non viene svolta regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica. Soltanto il 5% dei comuni intervistati ha intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e appena nel 4% dei casi si è provveduto a delocalizzare gli insediamenti industriali.  

Il 73% dei comuni ha sì realizzato opere di messa in sicurezza dei corsi d’acqua e dei versanti, ma si tratta di interventi che spesso rischiano di accrescere la fragilità del territorio e di trasformarsi in alibi per continuare ad edificare lungo i fiumi, come spesso avviene in Piemonte, Veneto e Lombardia.   Per quanto riguarda l’organizzazione del sistema locale di protezione civile, l’82% dei comuni si è dotato di un piano di emergenza da mettere in atto in caso di frana o alluvione, ma soltanto il 57% dei piani risulta aggiornato negli ultimi due anni. Un comune su quattro non fa praticamente nulla per prevenire i danni derivanti da alluvioni e frane.

In dettaglio per quanto riguarda la Sicilia, il 70% dei comuni è a rischio frana e alluvione. Il 95% ha costruito in aree a rischio idrogeologico, il 52% (quasi il doppio della media nazionale) ha in tali aree interi quartieri e solo il 29% (contro il 57% della media nazionale) possiede un piano di emergenza aggiornato negli ultimi 2 anni.


Bibliografia:

 

Casagli et al. (2008) Monitoraggio e mappatura rapida dei rischi idrogeologici per le attività di Protezione Civile (link)

Legambiente. Ecosistema Rischio (link)