Brexit, il punto della situazione. Il dilemma elezioni europee

Pubblicato il 22 Marzo 2019 alle 16:29 Autore: Michele Mastandrea

A che punto siamo con la Brexit? Londra parteciperà o no alle prossime consultazioni europee? È possibile un nuovo referendum?

Brexit, il punto della situazione. Il dilemma elezioni europee
Brexit, il punto della situazione. Il dilemma elezioni europee

La premier britannica Theresa May continua la sua corsa a ostacoli sul sentiero accidentato della Brexit. L’inquilina di Downing Street nella giornata di giovedì ha cercato di prendere ulteriore tempo. Lo ha fatto chiedendo a Bruxelles un rinvio della deadline per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea al prossimo 30 giugno. La deadline era prevista finora per il prossimo 29 marzo. Ad ogni modo May, chiedendo la proroga, ha detto che la Brexit non potrà essere prolungata ulteriormente.

Il problema è che il rinvio chiesto da May non è stato accettato. Infatti, i Ventisette dell’Unione nella giornata di venerdì hanno dato tempo massimo a May il prossimo 12 Aprile. Entro quel giorno dovrà passare ai Comuni il piano per la Brexit stipulato a novembre da May e dal negoziatore europeo Barnier. Se ciò avverrà, il 22 maggio la Gran Bretagna sarà fuori dall’Unione.

In caso di ulteriore bocciatura dell’accordo, sempre il 12 aprile bisognerà prendere una decisione sul da farsi. Uniche alternative sono una uscita no deal o una retromarcia con l’annullamento della procedura di uscita. La UE sta evidentemente cercando di mettere pressione sul parlamento inglese affinché ratifichi l’accordo. Ma è molto difficile che ciò accada dati gli attuali equilibri parlamentari.

Brexit, le posizioni di partiti e attori economici

Infatti, sul suo piano per la Brexit May ha già subito una doppia sconfitta in pochi mesi al momento del voto. L’opposizione in Parlamento arriva, come noto, sia dall’ala dura dei Tories che dai laburisti, oltre che dal partito unionista DUP. I primi, i cosiddetti hard-brexiteers, desiderano ormai solo una Brexit unilaterale, all’insegna del no deal. I secondi vedono all’orizzonte invece, in caso di ulteriori difficoltà per May, la prospettiva di elezioni anticipate e la convocazione di un nuovo referendum. Per il DUP la questione è sempre quella del backstop, vale a dire della regolazione confinaria tra Irlanda e Irlanda del Nord.

In realtà c’è abbastanza ondeggiamento in campo laburista. Se il leader Corbyn che in missione a Bruxelles chiede ascolto per il suo piano alternativo della Brexit, parte del partito invece spinge per un nuovo referendum. Il mondo della finanza sembra invece essere molto spaventato da un’uscita no deal, dato che ciò metterebbe in discussione il rapporto economico con il mercato Ue. Nell’accordo May-Barnier, lo ricordiamo, il Regno Unito rimarrebbe nell’Unione Doganale e continuerebbe a beneficiare dei meccanismi europei per la circolazione dei capitali e delle merci.

Come si fa con le elezioni europee?

Su questa situazione si installa anche un ulteriore rilevante tema: le prossime elezioni europee. Se non si dovesse raggiungere un accordo a breve, a maggio il Regno Unito dovrebbe in teoria tenere le elezioni per il rinnovo della sua delegazione al Parlamento di Strasburgo. Se Londra non deciderà per l’uscita (che sia no deal o ratificando l’accordo May-Barnier), di fatto dovrebbe partecipare alle elezioni. Proprio dopo aver cercato di uscire dalle istituzioni europee. Un rompicapo vero e proprio.

Il politico liberale Guy Verhofstadt aveva parlato di impossibilità di rinviare la decisione sulla Brexit oltre il 23 maggio. La sua posizione è dunque passata, e il 12 aprile diventa data decisiva. Il problema è legato alla inesistenza di una maggioranza in parlamento su come uscire dall’Unione. Inoltre, nel paese reale, dove i sondaggi vedono ora il remain in testa in un eventuale nuovo referendum, continua la mobilitazione anti-Brexit.

Una petizione online per un nuovo referendum ha raggiunto le due milioni di firme in due giorni. May ha detto che in nessun caso concederà un ritorno al voto popolare, dato che sarebbe un segnale di debolezza per la democrazia inglese che già si è espressa nel giugno 2016. Ma il tempo stringe per trovare una decisione.

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L'autore: Michele Mastandrea

Nato nel 1988, vive a Bologna. Laureato in Relazioni Internazionali all'università felsinea, su Termometro Politico scrive di politica estera ed economia.
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