Legge 194: referendum, storia e cosa dice sull’aborto. Salvini “non si tocca”

Pubblicato il 31 Marzo 2019 alle 20:05 Autore: Emilia Missione

Da Verona il vicepremier Salvini difende la legge 194, sull’interruzione volontaria di gravidanza. Ecco come è regolata nel nostro paese

Legge 194: referendum, storia e cosa dice sull’aborto. Salvini “non si tocca”

La legge sull’aborto non è in discussione“. Da Verona il vicepremier Matteo Salvini rassicura coloro che avevano guardato con preoccupazione alla sua partecipazione al dibattuto Congresso mondiale della famiglia.

A far discutere, negli ultimi giorni, le tesi di alcuni relatori dell’incontro che, senza mezzi termini, hanno duramente attaccato l’aborto parlando di “omicidio“, “delitto” e “cannibalismo“.

In Italia sono trascorsi 41 anni da quando lo Stato italiano, nel maggio del 1978, riconobbe alle donne il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. Con l’approvazione della legge 194, il Parlamento depenalizzò e regolamentò l’aborto, fino ad allora praticato clandestinamente.

Ma il percorso di approvazione della legge, sostenuta soprattutto dal Partito radicale, non fu semplice. Dopo una lungo dibattito politico e culturale negli anni ‘70, la legge dovette passare il vaglio del referendum abrogativo del 1981. E in quell’occasione gli italiani si schierarono nettamente a favore della legge.

Legge sull’aborto, un lungo dibattito dentro e fuori dal Palazzo

A portare per la prima volta il tema dell’aborto nelle aule del Parlamento italiano fu il Partito socialista che, nel 1971, presentò due proposte di legge sul tema.

Ad aprire la strada era stata, nello stesso anno, una sentenza della Corte costituzionale che aveva dichiarato illegittimo l’art.553 del Codice penale, sul reato di propaganda degli anticoncezionali. Il Parlamento, però, non discusse nessuna delle proposte.

Il dibattito si riaprì nel 1975 quando Loris Fortuna, già padre della legge sul divorzio, presentò una nuova proposta legislativa. Quello stesso anno, poi, la Corte costituzionale dichiarò la legittimità dell’aborto terapeutico.

Intanto, fuori dal Parlamento, anche la società civile si confrontava sul tema. Sebbene considerato un tabù, l’aborto veniva praticato clandestinamente dalle cosiddette “mammane”, donne che praticavano l’aborto con metodi empirici e senza le dovute tutele per la salute. Solo le donne più ricche si rivolgevano a cliniche estere o a medici consenzienti.

In questo clima tre animatori del movimento per la legalizzazione dell’aborto, Emma Bonino, Marco Pannella e Gianfranco Spadaccia, si autodenunciarono. In particolar modo la futura leader dei radicali ammise di aver aiutato molte donne ad abortire in maniera sicura e fu arrestata.

Ad interrompere bruscamente il dibattito fu, nel 1976, la decisione del presidente della Repubblica, Giovanni Leone, di sciogliere in anticipo le Camere e andare a nuove elezioni. Il dibattito fu così rimandato e, tra bocciature, scontri e polemiche, solo nel maggio del 1978 il Parlamento riuscirà a varare la norma.

Anche dopo la sua approvazione, lo scontro tra radicali e cattolici non si arrestò. Nel 1981 la legge 194 fu sottoposta a referendum abrogativo, con due quesiti di segno opposto. Da un lato i radicali chiedevano norme meno stringenti, dall’altro i cattolici premevano per abrogare alcune parti della legge. Ma gli italiani votarono no ad entrambe le proposte e la norma
superò indenne quello scoglio.

Legge 194: cosa stabilisce e i limiti all’aborto

La legge 194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, sancisce il diritto della donna all’interruzione volontaria di gravidanza e i limiti entro i quali è possibile ricorrere all’aborto.

Entro 90 giorni la donna che ritiene di non voler portare a termine la gravidanza per motivi legati “alla sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito“, può rivolgersi ad un consultorio pubblico.

Lì i medici, oltre a svolgere i dovuti accertamenti, hanno anche il compito di esaminare insieme alla donna le circostanze che l’hanno spinta a chiedere l’interruzione.

Da questo momento, nei casi in cui non sia accertata un’urgenza, devono obbligatoriamente trascorrere sette giorni, per escludere qualsiasi ripensamento. Trascorso questo termine, se la donna non ha cambiato idea, può recarsi in una delle strutture autorizzate per procedere all’interruzione.

Esistono tuttavia casi in cui la legge 194 prevede la possibilità di ricorrere all’aborto oltre il limite dei 90 giorni. In questo caso si parla di aborto terapeutico ed è previsto quando il parto comporterebbe un grave pericolo per per la vita della donna o quando sono accertate patologie che costituirebbero un grave pericolo per la sua salute fisica o psichica.

La norma stabilisce anche alcune tutele per il personale sanitario. Medici e infermieri che si sono dichiarati obiettori di coscienza, infatti, non sono tenuti a praticare interruzioni di gravidanza. Questo a meno che la donna non sia in pericolo di vita.

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L'autore: Emilia Missione

Giornalista professionista, classe '90. Ho lavorato a SkyTg24 e come public affairs consultant. Amo la politica, le parole e le gonne di tulle. Ma non in questo ordine.
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