Le deposizioni di Blair sull’Iraq

Pubblicato il 1 Febbraio 2010 alle 22:04 Autore: Livio Ricciardelli
un attentanto in Iraq

Già da questo primo tipo di risposta, tra l’altro molto condivisibile se non ovvia, emerge una visione a tratti manichea delle relazioni internazionali nello stile di Samuel Huntington, secondo cui, a seguito della fine delle ideologie, sono le “civiltà” con le loro profonde differenze a scontrarsi (ma Blair non era il fautore della “vittoria del pragmatismo” a seguito della fine delle ideologie?).

Assodato dunque quale fosse la radice del problema e le ragioni per cui era necessario rafforzare la “special relationship” USA-GB, Blair ha continuato la sua deposizione dichiarando di credere realmente all’esistenza di armi pericolose nelle mani di Saddam. Ha dichiarato che per quanto riguarda il legame col terrorismo islamico esso si sarebbe potuto sviluppare nel corso degli anni con Saddam sempre al potere e infine ha concluso dicendo che rifarebbe tutto come prima, che non c’è niente di cui scusarsi e che se fosse per lui “il prossimo sarebbe l’Iran”.

Effettivamente, se si vuole prendere alla lettera la dottrina blairiana qui esposta, bisognerebbe al più presto intervenire contro l’Iran in quanto paese che senza dubbio sta sviluppando forme di armi nucleari e che appare una minaccia nei confronti di alcuni paesi vicini (per non parlare poi della condotta iraniana sulla negoziazione nucleare e sul tentativo di tenere segreti alcuni impianti per l’arricchimento dell’uranio). Da questo punto di vista, valutando che l’Iran come Saddam reprime costantemente i propri oppositori politici, il regime di Teheran appare molto più pericoloso!

Ovvio che i molti familiari delle vittime del conflitto iraqeno, che aspettavano Blair fuori dal palazzo della commissione, si sarebbero aspettati delle scuse da parte di uno degli artefici principali di questo discusso conflitto. E avevano assolutamente ragione.

La deposizione dell’ex primo ministro britannico però, tralasciando le sue responsabilità sulla condotta delle guerra che sono senza dubbio opinabili, può insegnarci qualcosa di più sulla visione politica di Blair e sulle argomentazioni con cui ha cercato di difendersi: uno dei più grandi elementi che colpì l’opinione pubblica internazionale (personalmente ho un ricordo molto vivo dei mesi di preparazione al conflitto) fu il fatto che il laburista Blair, colui che aveva rappresentato un modello ed un esempio per tutta la sinistra internazionale, sembrava avere una visione uguale a quella di uno dei principali teorici della politica neo-conservatrice come George W. Bush, con cui aveva inoltre ottimi rapporti.

Inutile dire che a molti in quel periodo Blair è apparso un traditore (ricordo molto bene la reazione di un corteo contro la guerra in Iraq nell’aprile 2003 quando ebbe le sventurata idea di passare sotto l’Hotel Anglo-Americano di Roma) e quasi nessuno riuscì a trovare una forma di giustificazione o di motivazione al suo comportamento.

 

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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