Il dettaglio che potrebbe (forse) salvare il PD

Pubblicato il 25 Giugno 2019 alle 17:07 Autore: Nicolò Zuliani
Il dettaglio che potrebbe (forse) salvare il PD

In Italia, storicamente, abbiamo una mentalità più gerarchica degli altri stati. Sembra un controsenso, ma essendo noi una nazione di anarchici ingovernabili e fratricidi, il solo sistema di governo che il nostro inconscio recepisce come legittimo è quello prevaricatore. Chiamatelo Re, Papa, Duce, sempre quello è: uno che si erge dalla massa per sottometterla.

Noi non votiamo un padre, votiamo qualcuno che bastoni i nostri fratelli. Colleghi, parenti, ex amici, ex coniugi. Mi sembra che fu Calvino a dire che l’italiano vuole fare la rivoluzione per sparare al vicino di casa, ma di sicuro Saba aggiunse che per farlo vuole il permesso dell’autorità. Per capire quale sarà il partito con un futuro bisogna ascoltare cosa dicono nei bar: se dicono di votare (o di non votare) un partito, non avrà gran successo. Ma se parlano di un cognome, quello è destinato a restare nelle cronache per vent’anni.

Guardando i sondaggi il movimento cinque stelle retrocede non perché Di Battista respira o perché Toninelli esiste, ma perché è passato dall’essere Beppe Grillo a essere “il M5S”. Forza Italia è passata da essere Berlusconi a “il PdL”. La Lega nord, dopo quella malattia orrenda, è passata da “Bossi” a “la Lega”. Rasa al suolo talmente tanto che oggi al sud la votano.

Cosa fa la differenza tra un partito e un cognome?

Si fa un gran parlare di leader, ma nessuno ha la minima idea di cosa sia o cosa debba fare. Certo, dettare una linea politica invece di farsela dettare da tre squinternati sarebbe un inizio. Ma quello che manca è una narrativa. Un leader si costruisce, non appare dal nulla. È questo che mi manda in bestia perché è sotto gli occhi di tutti ma non se ne accorge nessuno. Si continua a prendere in giro Salvini per le felpe, la pasta e le camicie senza rendersi conto che lui le mette lì apposta per quello.

Perché fa parte della narrativa dell’uomo comune bastonato e perculato dalle “elite”. Ogni tweet che lo deride, ogni intervento che lo sminuisce, è legna per la sua stufa. Ogni insulto a lui è una dichiarazione “noi mangiamo solo buffet biologico e cucina fusion”, “noi compriamo solo da Eataly”. E a me va benissimo ma STAI ZITTO, perché il piatto di spaghetti da poveri, nell’immaginario del popolo italiano, è un pelo… uh, storico.

Miseria e nobiltà
Un americano a Roma
Il secondo tragico Fantozzi
Davvero lo vedo solo io?

Salvini non è lì perché “investe nei social”.

Sì, spende in sponsorizzazioni, ma il punto è COSA sponsorizza. Ovvero la costruzione del suo personaggio, tanto quanto Beppe Grillo nei suoi primi spettacoli, o Berlusconi grazie alle colonne dei giornali. Beppe Grillo era l’umile comico destinato a salvare la Terra. Berlusconi era Tony Stark col vulcano in giardino. Prodi il padre di famiglia. Salvini è Fantozzi, il non plus ultra dell’italiano sconfitto.

È quello che gli viene male l’uovo al tegamino, che suda troppo e si preoccupa di cosa gli dirà la fidanzata, che va in spiaggia a fare i DJ set, si fa stirare la camicia buona e parla di calcio.

L’opposizione sta dentro gli uffici a criticarlo e parlare di politica in camicia immacolata con manica arrotolata, cioè il ritratto del megadirettore galattico che si finge democratico. Le indicazioni delle grandi firme del giornalismo? “il nuovo leader della sinistra dev’essere giovane, donna, verde e sempre in Internet”. Ma in Internet a fare cosa?

Costruiamo un leader usando lo stesso metodo.

Prendiamo Ivano Ceccarini (o un equivalente più giovincello, magari) lo affianchiamo ad Aboubakar e li mandiamo in giro per l’Italia stile Arma letale tra periferie, bar, spiagge, discoteche, piazze, centri commerciali, posti dove insomma va la gente normale ad ascoltarli, capirli, ragionarci. Gli facciamo caricare i video su Internet, sì, ma mentre stanno in mezzo alla gente e sono propositivi, citano il governo ogni tanto, per il resto interagiscono con gli italiani e anche – sì, è sconvolgente – si divertono.

Non facciamo l’errore di Di Battista che s’è bruciato col ruolo “vivo in vacanza da una vita” e poi torna da miracolato che ancora rompe le balle. Partiamo dal basso con polo sfigate, storie vere e personaggi innamorati del proprio paese e della propria storia che la girano, la conoscono, la vivono e propongono soluzioni. Se i leader naturali non entrano in politica perché non gli conviene, lo possono diventare. Alla peggio, si possono creare a tavolino. Si può fare.

Basta smetterla di sputare sulle cose più care e sacre che ha il popolo per sentirci alternativi.

L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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