Snorkeling, whisky e sparatorie: in vacanza col Mossad

Pubblicato il 18 Luglio 2019 alle 18:45 Autore: Nicolò Zuliani
Snorkeling, whisky e sparatorie: in vacanza col Mossad

Italia, Roma
Qualche giorno del 1973

Quattro uomini con camicia aperta fino all’ombelico, giacca che puzza di alcool e narici stranamente impolverate entrano in una banca. Uno sviene dopo tre passi, un altro biascica qualcosa in dialetto e si chiude in bagno, gli altri due riescono a barcollare fino alle sedie del consulente finanziario. Uno manca la sedia di pochissimo e si schianta al suolo, dove resta privo di sensi. Il quarto ha la bocca semiaperta e fissa un punto del soffitto, ansimante.
«Cosa posso fare per voi, signori?» domanda il consulente finanziario.
«Idea… pazzesca» ansima l’uomo «mare tropicale… bello… la gente, la musica… festa…»
«Già da questo pitch vi prestiamo 200 milioni. Approfondisca.»
«Tipo… il mare, i pesci, la gente con le bombole, bello… però c’è bellaggente, la creme…»
«Siamo a 500.»
«Ma in un posto meglio dei soliti, strano… cioè, il caldo…» batte le mani a tempo di una musica che non c’è, abbassa la testa e comincia a rimettere sul pavimento.
«Dove?!» lo incalza il consulente «Mi dica dove ed è fatta!»
L’uomo scuote la testa: «Sto sudando…»

13 febbraio 1982, Mar Rosso
Dieci anni dopo

Yola Reitman è un’attendente di volo della compagnia El Al, ha trent’anni e una grande passione per le immersioni. È un giorno qualunque, si sta riposando guardando i turisti fare immersioni nella barriera corallina quando la informano che c’è una telefonata per lei. Yola alza la cornetta, ascolta, dice “sì”, poi riattacca e se ne va.

È appena stata reclutata dal Mossad.

Una sinagoga in Etiopia

I Beta israeliti sono una comunità di ebrei neri conosciuta fin dal 1600. Vivono sparsi in circa 500 villaggi a nord dell’Etiopia in condizioni di miseria assoluta, e da secoli sognano di potersi trasferire in Israele (loro la chiamano Zion, la loro terra promessa). Con la guerra e i genocidi, migliaia di loro scappano attraversando il deserto a piedi diretti verso il Sudan; durante il viaggio sete, fame, caldo e bande armate ne uccidono 1700, ma alla fine riescono a trovare aiuto nei campi profughi.

Impiegano poco a capire che la situazione non è migliore.

Sinagoga nel campo profughi in Sudan

Sono ammassati in baracche di fango e paglia tra milioni di altri, con condizioni di vita disastrose, pochissimo cibo e frequenti epidemie. Menachem Begin, primo ministro di Israele, decide che è ora di portarli a casa e delega il “come” al Mossad.

È un bel problema.

Il Sudan, oltre a essere una nazione di fede musulmana e membro della Lega Araba, odia gli ebrei con rara ferocia, tanto che dopo la guerra dei sei giorni, nella risoluzione di Khartoum, vennero pronunciati i famosi tre no: no pace con Israele, no negoziazioni con Israele, no al riconoscimento di Israele. Se i Sudanesi sapessero di avere sotto il loro tetto degli ebrei neri, finirebbe male per loro e per quelli bianchi andati a prenderli. Allora si potrebbe prelevarli con degli autobus senza avvisare, ma sarebbe necessario farli passare priva vuoti e poi pieni attraverso l’Egitto, altro paese che detesta gli ebrei.

Etiopia, circa 1980

Studiando il territorio e le foto satellitari, sulla costa gli agenti notano una ventina di casupole disposte a semicerchio. È strano, sono in mezzo al deserto del Sudan, senza elettricità né acqua. Scoprono che si tratta dell’ambizioso progetto di alcuni imprenditori italiani, che vi avevano costruito un resort certi che la gente avrebbe fatto la fila. Stranamente, slogan come “un tuffo nella guerra civile”, “Tra caparozzoli e bossoli”, “e… state al riparo”, “vieni a colorare il mar rosso” non avevano fatto breccia nel cuore delle famiglie ed erano falliti.

I bungalow, però, sono ancora lì con cucine, camere, hall, bagni e infrastrutture.

Il Mossad ha così un colpo di genio: si fingono un’agenzia di viaggi svizzera ansiosa di promuovere il turismo europeo in Sudan, e noleggiano la proprietà dal governo per tre anni, al costo di soli 320,000 dollari. Il ministro diffonde la voce che quel villaggio non dev’essere toccato da nessun predone o forza dell’ordine.

Poi convocano Yola Reitman, ebrea di origini tedesche. È un’assistente di volo con la passione per le immersioni. A neanche trent’anni alza il telefono e Israele le chiede se vuole diventare un’agente del Mossad. Lei dice di sì e loro la informano che è appena diventata la direttrice di un resort turistico in Sudan, affacciato sul Mar Rosso.

In Europa, intanto, fioccano pubblicità.

Sul serio

Questa volta la gente accorre; famiglie americane ed europee atterrano nella miseria più nera per andare a sorseggiare pina colada e guardare pescetti; Yola accoglie tutti, spacciandosi per tedesca. Quando incontra tedeschi che le fanno troppe domande, lei aveva trovato come trucco quello di “cantare le canzoni da bambini che aveva imparato da piccola”. Dev’essere strano chiedere a qualcuno “lei è di Bonn? In che quartiere?” e quello si mette a cantare “Auf wiedersen, adieu, goodbye, wir fahren heute fort” mentre taglia l’angolo.

Comunque, funziona.

Mentre sistemano il resort che è in condizioni disastrose – deve farsi portare l’acqua dolce dai camion, ha l’elettricità solo coi generatori – il Mossad manda degli agenti nei campi profughi e li avvisa della partenza.

Beta israeliti

Le giornate di Yola consistono nel fare davvero la direttrice di giorno, poi di notte uscire nel bel mezzo del deserto e attivare una ricetrasmittente per dire se la strada è libera o meno. Dopo qualche prova, viene il momento. Una notte gli etiopi scappano in massa dal campo profughi, si stipano come sardine dentro dei camion e si fanno 600 miglia di deserto a tavoletta, tra strade distrutte, posti di blocco e predoni. Arrivano al resort, mentre dall’acqua emergono gli Zodiac mandati da una nave militare israeliana al largo. Caricano la prima infornata e li portano a bordo in 90 minuti.

Foto del recupero dagli Zodiac

Dato che funziona, si può ripetere.

Il problema è che il resort funziona bene. Anzi, troppo. È talmente lussuoso che negli anni ci arrivano arabi cacciatori di falchi, diplomatici che lavorano a Khartoum ma vogliono straviarsi, la moglie dell’ambasciatore egiziano, addirittura un intero battaglione inglese ci passa due settimane a sbafo della Regina, a cui ha detto di essere una “esercitazione alla sopravvivenza”. Anche il personale del resort è autoctono, eppure non si accorge di nulla. Del resto a Yola hanno detto che se qualcosa va male “prendi un gommone e scappa in alto mare, forse un elicottero verrà a prenderti”; gli ebrei evidentemente non credono molto nei piani B, ma di certo sanno motivare il personale.

«Ciao, siamo il Mossad, vuoi servire il tuo paese?»
«Sì.»
«Ok, devi fare X, Y e Z.»
«E se qualcosa va storto?»
«Recati in un posto dove l’autopsia potrà dire che sei morta di sete perché eri una guida turistica dilettante.»

Cena a bordo della nave israeliana

Le cose cambiano per colpa del whisky.

Nei paesi musulmani è illegale, ma tutti sognano di berlo. Perciò Yola lo usa per corrompere funzionari, responsabili e governatori. La voce si sparge e vengono fatti controlli anti contrabbando sulle coste. Durante uno di questi, in piena notte, i militari sudanesi beccano i gommoni con i profughi. Alzano le armi ma gli agenti del Mossad tuonano incazzatissimi che si tratta di un evento turistico per clienti d’elite, la splendida e incontaminata notte sudanese. I militari ricordano gli ordini, hanno troppa paura di fare errori e se ne vanno.

E se scampi da una cosa del genere, religioso lo diventi

Però è uno di quegli eventi che segnano le svolte.

Giornalisti e opinionisti israeliani continuano a insistere sul riportare a casa i loro fratelli, inconsapevoli che sta già succedendo in silenzio da un paio d’anni. Purtroppo, a furia di insistere su TV e giornali, l’attenzione mondiale si sposta sugli ebrei neri, e i governi di Sudan ed Egitto cominciano a sospettare qualcosa.

Dove sono, ‘sti ebrei?
E soprattutto, possiamo accopparli?

Il mar Rosso diventa infestato di vedette e incrociatori, così il Mossad opta per il trasporto aereo sfruttando una vecchia pista della seconda guerra mondiale. Atterrare nel pieno della notte in territorio nemico senza scorta né truppe a terra sarebbe un suicidio; per fortuna le batterie antiaeree del Sudan non hanno mai ricevuto manutenzione, né il personale è stato controllato o istruito, così le postazioni SAM sono diventate un ammasso di ferraglia abbandonato e ci giocano i bambini.

Perché è anche questo, il terzo mondo: il tuo 23° figlio che sale in groppa a uno strano aggeggio e il momento dopo infrange la barriera del suono a settecento metri d’altezza.

Ma il vero problema è che gli ebrei etiopi non hanno mai visto un aereo. Quando vengono portati nel cuore della notte nel deserto, c’è una tempesta di sabbia. All’improvviso la terra trema, c’è un rombo assordante, luci abbaglianti, e un mostro d’acciaio scende dal cielo vomitando alieni armati. È il panico, e più i soldati cercano di spiegargli che sono dalla loro parte, peggio è. Molti fuggono nella notte e non vengono ritrovati, la maggior parte si salva.

A bordo dei C-135

Il trucchetto viene replicato per settimane, finché un politico israeliano per vincere un dibattito televisivo nomina l’operazione e la sbandiera ai quattro venti. La notte stessa, Yola e gli agenti del Mossad fuggono alla chetichella; alcuni raggiungono l’ambasciata americana, dove vengono nascosti dentro casse di legno con sopra l’etichetta “Corrispondenza diplomatica” e spediti via posta prioritaria.
Chi resta nel resort?

6 aprile 1985

Il depliant turistico diceva che c’erano acque cristalline, frutta fresca ogni giorno, vini pregiati, la brezza del mare e una fauna marina tra le più belle del mondo. Prometteva personale multilingue, capace di mettere i clienti a loro agio e di far vivere una vacanza di relax e spensieratezza, lontano dalle rotte turistiche. In un certo senso era tutto vero. Ora però i clienti del resort Arous vedono gommoni militari arrivare dal mare, elicotteri con mitragliatrici che atterrano, camion con truppe armate fino ai denti che procedono spediti verso di loro urlando in arabo, e mentre alla televisione si parla di un improvviso colpo di Stato, realizzano la sconvolgente rivelazione: ecco perché andare in Sudan costava così poco.

Di recente, Netflix ha fatto un film sulla vicenda.

L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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