Il fattore Giordano Bruno

Pubblicato il 25 Luglio 2019 alle 16:49 Autore: Nicolò Zuliani
Il fattore Giordano Bruno

Avrò avuto sedici o diciassette anni, era estate e io dovevo frequentare i corsi di recupero al liceo scientifico Giordano Bruno. Io e altri tre idioti avremmo passato due ore con il professore a sbuffare di caldo nella scuola vuota, quando non esisteva l’aria condizionata e si tenevano le finestre aperte, da cui sentivi le cicale in parco della Bissuola.

Inforco la bici, arrivo, faccio le scalinate vuote, salgo in aula e la trovo deserta. Ho sbagliato giorno. Sudato e scazzato, mi siedo su un banco qualsiasi a prendere fiato prima di tornare a casa. Resto in ascolto. La scuola sembra un altro posto. Il costante vociare e scalpicciare del mattino la rendevano piccola, compatta, viva. Ora c’è solo il riverbero lontano dei bidelli che sistemano le aule. Sembra un’enorme cattedrale nel deserto. Anche la classe è diversa.

Non so cosa mi è preso.

Forse volevo provare a guardare le cose in maniera diversa, o volevo dissacrare quel posto che mi dava tanti dispiaceri. Comunque, prendo un banco, lo giro e lo metto sopra un altro. Poi faccio lo stesso con quello vicino, e con quello dopo ancora. Poi decido di fare un terzo livello. Lavoro in silenzio, mosso da Dio sa che disegno mentale. Passo alle sedie, e mentre costruisco sento i suoni dei bidelli che si avvicinano e le farfalle nello stomaco.

Sento il colpo del mocio contro la porta dell’aula mentre appoggio l’ultima sedia che arriva fino al soffitto. Resto immobile, aspetto. Il mocio si allontana. Scendo dai banchi, vado alla lavagna e scrivo una frase in latino. Ammiro l’opera, chiudo piano la porta e torno a casa senza che nessuno mi abbia visto.

Ci avrò messo mezz’ora, circa.

Il giorno dopo arrivo a scuola aspettandomi che i bidelli abbiano trovato lo scherzo, abbiano smadonnato e l’abbiano rimesso a posto. Ma non è così. Davanti all’aula ci sono tre professori, il preside, i bidelli e tutti i miei compagni di scuola.

Le facce non sono allegre, anzi.
Sono spaventate.

Butto dentro la testa e capisco subito il problema: la scultura ha un pessimo aspetto. È minacciosa, un misto tra una piramide e un altare che tocca il soffitto, mentre attorno sono disposte le sedie a semicerchio, come se ci fosse stata una platea. L’avevo fatta io, quella roba, eppure sembrava diversa. Erano gli anni delle Bestie di Satana e quelle robe lì, cosa che non aiutava: «Uno, due… erano in cinque» dice la professoressa, contando le sedie.
«Ti pare che una roba del genere la fanno cinque persone?» sbotta il preside «Saranno stati almeno in dieci, e gli sarà servita tutta la notte.»

Il resto della settimana fu impiegato per capire chi fossero gli autori e quale fosse il movente. Ecco, il movente era che un ragazzino di 16 anni si annoiava. Oggi fa ridere, immagino, ma mi è sempre rimasta impressa quella frase: saranno stati almeno in dieci, gli sarà servita tutta la notte. Perché la capivo; anch’io, guardando l’insieme, ero allibito.

Eppure l’avevo fatta da solo.
In venti minuti.

Da lì ho imparato una regola preziosa: nessuno di noi ha davvero idea della potenza, dell’ingegno, e di quello che è capace di fare un singolo essere umano.

Non è possibile possa farlo senza una grande regia. Senza manovalanza addestrata, mezzi, aiuti, organizzazioni occulte.

Siamo persone civili abituate alle nostre vite standard, con occupazioni e impegni standard, con persino trasgressioni standard; quando vediamo qualcosa di anomalo lo sovrastimiamo. Lo valutiamo in base alle nostre capacità, non alle potenzialità latenti della nostra specie. È impossibile io non riesca a compilare il modulo mentre tre grezzi riescono a far saltare per aria una macchina in movimento.

L’ho chiamato Fattore Giordano Bruno perché all’essere umano non serve una regia occulta, un piano, un addestramento o un mandante oscuro. A volte gli bastano venti minuti.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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