“Perché il film su Chiara Ferragni sta facendo successo?”

Pubblicato il 23 Settembre 2019 alle 18:50 Autore: Nicolò Zuliani
“Perché il film su Chiara Ferragni sta facendo successo?”

Il film di Chiara Ferragni sta andando benissimo. Il libro di Giulia De Lellis – una che si vanta di non avere mai letto libri tranne Il piccolo principe – sta andando altrettanto bene. Il web che conta si straccia le vesti e tuona contro l’imbarbarimento culturale, come se fosse strano che i prodotti pop (da POPolari) vendano a discapito di autori che essi considerano più alti.

Giulia De Lellis

È la stessa cosa di cui si lamentavano negli anni ’30 quando la gente guardava Fred Astaire e Ginger Rogers tre volte di fila, snobbando storie più realiste o drammatiche che raccontavano la Grande Depressione.

Ginger e Fred su Swing Time, 1936

Tutti si chiedevano perché.

A rispondere ci pensò lo sconfinato genio di Sturges, uno dei più grandi sceneggiatori della Storia. Nel 1941 fece uscire Sullivan’s travel, commedia che narra di un affermato ed eccentrico regista americano intenzionato a girare l’America per raccontarla in modo serio, drammatico, realista. Il finale è un tale pugno in bocca da far finire il film al 39° posto tra le più grandi commedie di tutti i tempi, eppure la stessa noiosissima domanda torna a infestare i media.

Sullivan’s travels, 1941

Perché la maggioranza guarda “spazzatura?”

Prima di tutto va ricordato che la “spazzatura” ha il pregio di diventare platino dopo una trentina d’anni, circa. Nanni Moretti ricorda che la battuta “te lo meriti, Alberto Sordi!” su Ecce Bombo, messa in bocca a giovani di estrema sinistra, congelò la sala. Registi e giornalisti, tra cui Eugenio Scalfari, declassavano Fantozzi a mero intrattenimento per analfabeti. Lo stesso dicasi per le commedie poliziottesche con Tomas Milian.

Viceversa, ieri come oggi qualsiasi cosa esca dal Sundance film festival o da case editrici considerate d’elite raramente arriva a fare un quinto dei loro incassi. Eppure vincono premi, sono acclamati dalla critica e da recensioni entusiaste, poi nelle librerie o ai botteghini fanno un bagno di sangue. Il motivo è che hanno un target diverso per dialettica, estetica, ritmo e narrativa rispetto a quelli che piacciono alle persone comuni.

Che a livello di numeri, sono molto più numerose.

La differenza sta nel fatto che chi sa declinare un congiuntivo si arroga il diritto di criticare i film di quelli coi tatuaggi di Vasco e vorrebbe imporgli i propri gusti per educarli, mentre gli operai di porto Marghera snobbano l’intrattenimento “colto” e si fanno i fatti loro. Perché da una parte c’è ipocrisia, dall’altra semplice ignoranza. Chi tuona contro il degenero letterario/cinematografico ha sempre qualche inconfessabile passione proibita, ma soprattutto è roso dall’invidia più atroce.

Ma non per gli incassi.

Incassi, fama e visibilità sono cose che invidiano gli sfigati e i provinciali, quelli che stanno su Twitter a spruzzare veleno sul royal wedding o a photoshopparsi la cellulite. Quello che i difensori della Grande Cultura invidiano a chi sforna prodotti pop è la libertà di parola. Quella, li uccide. Il fatto che se produci contenuti leggeri sei libero di dire e fare quel che ti pare e piace, senza timore la tua sfera sociale ti rinneghi trasformandoti in un paria.

“Ho scritto un libro che parla di un libro che sogna di avere le ali, una vagina e un pene.”
“Beeeeeeello”

Nel mondo dell’intrattenimento ci sono regole non dette ma indissolubili.

Non si parla male di quella casa editrice. Quell’autore è sacro anche se scrive peggio di un pluribocciato in terza elementare. Quell’altro è bravo ma ha idee sbagliate e va silenziato. Quella famiglia non si tocca perché è quella che ti fa entrare lì. Quel premio non si critica perché la vincitrice è. A tutti deve piacere X anche se in realtà per leggerlo serve mordere una cinta di cuoio. Tutti amano fare due ore di strada il giovedì sera per raggiungere fatiscenti cacai “genuini”. Nessuno deve far notare la cronica mancanza di donne in grado di ovulare.

Il design, il design.

Potrei raccontare aneddoti a ripetizione.

Dietro le vesti stracciate ci sono specchi deformanti, dogmi, diktat, cose su cui non si scherza, cose che non si dicono e un esercito di uomini e donne frustratissimi che obbediscono, annuiscono e mangiano fiele per poter piazzare 1500 copie o grattare 60k al botteghino con un film che ne è costato 700k.

Poi arriva una tizia bella, ricca e coperta di gioielli che millanta vite spontanee e sbanca, arriva una ragazzina a parlare di corna e fa tabula rasa, e capite bene che gli girano i cabbasisi.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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