Agenti della CIA vanno in puttantour colombiano, il finale non stupisce

Pubblicato il 26 Novembre 2019 alle 18:15 Autore: Nicolò Zuliani
Agenti della CIA vanno in puttantour colombiano, il finale non stupisce

A Cartagena, in Colombia, è l’alba.

L’albergo El Caribe è un elegante resort a pochi passi dal mare, dove la brezza marina agita le palme e le strade ancora vuote. Sul lato est dell’albergo c’è un giardinetto fiorito tra chaise longue e cuscini a righe blu, dove i camerieri stanno apparecchiando il buffet della colazione.  C’è uno schianto, una fontana di vetri li investe seguito da una seggiola che si schianta tra spremute e cornetti. Una zeppa tacco 15, un cuscino e finalmente un’intera scrivania che si schianta sulle peonie, mentre dall’alto una voce femminile urla JO QUIERO EL CASH MONEY, e dal fondo della strada le prime sirene della polizia rompono il magico silenzio dei tropici.

Torniamo indietro.

Due settimane prima, negli Stati Uniti

È l’agosto del 2011, e il presidente Barak Obomba deve recarsi in Colombia per il Sixth summit of Americas, un incontro diplomatico incentrato su scambi commerciali, energia e sicurezza. Dopo il Nobel nel 2009, vinto mentre bombardava l’Afghanistan, Obomba tiene molto a guadagnare consensi tra le minoranze latine e dimostrare che non per tutti gli americani i latinos sono solo giardinieri, spacciatori e pornodive. Vengono quindi inviate sul posto le elite dei servizi segreti USA, uomini della CIA incaricati di preparare l’arrivo dell’uomo più potente del mondo e assicurarsi la zona sia sicura.

Un atterraggio promettente

Alle dieci di mattina il receptionist vede entrare quattro americani già palesemente ubriachi che forniscono i documenti e si chiudono in quattro stanze differenti, poi la sera arrivano al bancone della hall chiedendo informazioni. Il problema è che nessuno dei quattro uomini dell’intelligence parla spagnolo e devono farsi capire a gesti e inglese, cercano un locale “dove c’è la zumba zumba, el movimiento, comprendes?” ma non uno dei soliti scannatoi da turisti. Vogliono il real deal.

«Say no more, my skeptical amigos» dice il concierge.

Vengono diretti al Pley club, un lupanare immondo che pullula di droga e alcool a prezzi milluplicati e che mette musichette caraibiche caratteristiche tra palme di plastica, menu a mappa del tesoro, bagni con specchi orizzontali e fori di proiettile sparsi. Purtroppo Cartagena – e la Colombia in genere – soffre dello scollamento tra fantasia hollywoodiana e realtà. Secondo gli sceneggiatori USA, in un paese del terzo mondo le donne prendono l’arco e scatenano la rivoluzione, ma nel terzo mondo reale si prostituiscono come se non ci fosse un domani. Di che percentuali parliamo, chiederete voi.

«Persino Tinder» dice il sito Colombia casanova «è molto diffuso a Cartagena, ma è infestato di prostitute.»

Infestato, capite? Dev’essere tipo Parasite ma invece dell’allegra famiglia coreana ci sono dozzine di cholitas che sbucano fuori dal condotto di areazione o dalla cantina HOLAAA CHICO QUIERES FOLLAR LA PUTAAAA a ogni ora del giorno o della notte. Questo, se sei un uomo dell’intelligence, lo sai. Ma se si parla di americani il quoziente intellettivo fa bungee jumping dal ciglio del ritardo mentale, e questa storia non fa eccezione. Al Pley club i conigli non escono dal cilindro, ma ci sono evidenti indizi di giuochi di magia compenetrativa.

El #1 de Cartagena

Lo scannatoio per decerebrati

Appena entrati al Pley club i quattro agenti prendono il tavolino più chic e comprano la bottiglia di vodka più lussuosa a disposizione (Absolut) pagandola 150,000 pesos, cioè 84$. Immediatamente attorno al loro tavolo si materializzano venti ragazze misteriosamente sole, tra cui spicca una certa Dania Suarez, ventiquattro anni e tanta sete. Gli uomini s’affrettano a offrire altra vodka, e terminata la seconda bottiglia sono abbastanza in confidenza per qualificarsi come uomini della CIA giunti lì per una missione segretissima.

Uno di loro viene trascinato in uno stanzino appartato da una guapa de Tegucigalpa che dopo avergli assaggiato il chorizo pretende 180$, somma con cui in Colombia si può acquistare un missile terra aria. È il primo equivoco, e l’agente protesta finché i camerieri lo circondano per estorcergli il denaro. A quel punto sborsa, ma gli operativi CIA si insospettiscono. Per assicurarsi non siano prostitute usano un trucco psicologico costato ai contribuenti 230 milioni di dollari in addestramento:

«A què te dedicas?» domandano a una ragazza.
«Eh…» risponde lei con un sorriso stanco.
Il test è superato.

Il travestimento non funziona

Se le portano in albergo e nel tragitto Dania Suarez si ferma a comprare i preservativi, che in Colombia sono la sottile linea rossa che separa una bella serata al tuo chimichanga a fuoco il mattino dopo. Qui lei fa presente che dopo vorrà un regalo, e un agente le domanda quanto. Lei dice di aver detto 800 dollari: «Il prezzo già dice che sono una escort, non una prostituta. Sei di grado più alto; una escort è una che un uomo può portare a cena fuori. Si sa vestire e truccare bene, parlare e comportarsi da signora. Questa sono io» dirà poi Dania Suarez.

Dania Suarez

Evidentemente in Colombia non credono nel pagamento anticipato. Sia come sia, nel cuore della notte il concierge vede gli agenti CIA entrare accompagnati da “several prostitutes”, segno che il raffinato travestimento da signora non era ‘sta sfilata autunno inverno che prevedeva. Una volta in camera avviene l’eterno scambio interculturale, poi il sonno alcolico. Vengono svegliati alle 6.30 di mattina perché le hall degli alberghi colombiani hanno regole ferree per le signore che si sanno vestire e truccare bene. Dania si volta e pronuncia gli immortali versi:

«Baby, my cash money».

Quando l’ottenebrato agente sente la richiesta, «Mi ha chiamata con termini volgari» dice Dania.

Mentre la fissione nucleare all’interno della prostituta comincia a raggiungere i livelli di guardia, l’agente si giustifica dicendo che era sicuro volesse la tariffa standard e offre 50,000 pesos: 30 dollari. È la deflagrazione subamericana totale. La escort fa tremare le pareti dell’hotel a suon di vaffanculi, e l’agente per spaventarla comincia a sfasciare la stanza a mo’ di rockstar, inconsapevole che in Colombia è il rituale di corteggiamento standard.

Accorrono gli altri agenti e il direttore tentando di allontanare la belva, che s’aggrappa con le unghie ai muri berciando ma perdendo terreno. Raggiunta la hall s’incontrano con un’altra delle cholitas in piena contrattazione, ed è la rivolta. Armate di zeppe le sguattere menano fendenti tali da costringere il gestore a chiamare la polizia. A quella frase gli agenti spataccano dicendo “guarda chi siamo, non puoi!”.

Il problema è che il mondo pullula di mitomani che raccontano di essere agenti segreti e/o antiterrorismo pur di andare in buca, quindi non gli crede nessuno.

Il drammatico ultimatum

Con la polizia in arrivo c’è poco da scherzare: la CIA fa una contrattazione e Dania abbassa l’estorsione a 250 dollari, dicendo che è la somma che deve dare al pappone. Sì, sì. Concludono con una combinazione di dollari e pesos per un totale di 225 dollari, in una scena sublime dove questi le buttano in mano dollari, centesimi, caramelle, bottoni, scontrini accartocciati, tutto.

Poi fuggono alla chetichella, mentre lo staff dell’hotel consegna alla polizia l’intera lista del personale governativo residente nell’albergo. I nomi sono falsi, naturalmente, ma all’aeroporto li pigliano e la storia viene fuori. Quando Dania vede il casino in TV, capisce che gli agenti erano veri e che può grattare ben più denaro, così si presenta alla casa bianca e ai giornali.

Grazie a questa preziosa testimone, tutti gli Stati Uniti conoscono Greg Stokes e David Rendall Chaney, anche se come al solito, quando si parla di Stati Uniti, chiudiamo con più domande che risposte.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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