Il triste destino del sassofono

Pubblicato il 28 Novembre 2019 alle 18:48 Autore: Nicolò Zuliani
Il triste destino del sassofono

Adolphe Sax nasce a Dinant, in Belgio, nel 1814. Suo padre costruisce strumenti musicali, sua madre è candidata alla beatificazione. A due anni cade dalla finestra del secondo piano e si frattura la testa, ma sopravvive. A sei anni i genitori lasciano in giro dell’acido solforico e lui lesto lo beve, perché è noto che i bambini piccoli sono irresistibilmente attratti dall’autodistruzione.

Gli fanno una lavanda gastrica coi metodi vittoriani, pratica che oggi verrebbe considerata peggio del waterboarding, ma lui sopravvive per poter tornare a casa a mangiare uno spillo. Sopravvive ancora, e a nove anni cade dalla tromba delle scale spaccandosi una gamba. La fine dell’ottocento è un momento di un’estetica sublime, stemperato dalle bassissime aspettative di vita; erano anni in cui i no vax non esistevano, perché di morbillo si moriva male.

Adolphe lo prende e resta in coma per nove giorni.
Poi si riprende.

Siamo arrivati a un punto in cui anche Goku lo nominerebbe Saiyan onorario, ma siamo solo all’inizio. Adolphe a 14 anni si chiude il braccio nella porta di una carrozza e se lo frattura, mentre inizia a mostrare i primi segni del genio. Ha preso la passione del padre e tenta d’inventare qualcosa di suo, sebbene ogni quattro-cinque anni il suo irresistibile desiderio di autodistruzione si faccia pressante. A 19 anni, infatti, Adolphe si prendei un mattone in testa e si fracassa di nuovo il cranio, ma sopravvive senza lesioni visibili.

Passano altri quattro anni di gioia e spensieratezza, le prime ragazze, gli amici, le sbronze. Solo che sono gli spiriti del 1805, anni in cui tagliare la testa e la coda della distillazione veniva considerata una moda da fighette. A 23 anni Adolphe beve etanolo al sapore di vino e quasi ci resta secco, ma a differenza dei suoi amici che si svegliano morti o ciechi, sopravvive ancora. Studia conservatorio, si appassiona agli ottoni e ai fiati, mentre chiunque gli passi vicino si tasta il fagotto.

Il 6 novembre 1914 Sax annuncia alla famiglia due novità: la prima è che non ha avuto alcun incidente, la seconda che ha inventato uno strumento nuovo, che verrà brevettato nel 1840 con il nome sassofono. È uno strano ibrido tra tipi di fiati che non verrà mai preso sul serio, almeno finché Sax è in vita. I compositori lo considerano uno strumento da marcia militare e lo snobbano a lungo, finché molti anni dopo il jazz se ne impossessa e innamora, trasformandolo nel suo marchio di fabbrica.

Il sax sa essere sensuale e malinconico ma anche imponente, nelle mani dei geni che calcano i palcoscenici dei jazz club in cui si poteva fumare anche per osmosi.

Poi arrivano gli anni ’80 e i produttori decidono di mettere il sassofono ovunque, specie nei brani che più suscitano l’imbarazzo vicario. Nato in secoli analogici di aristocrazia ed eleganza, lo strumento di Sax diventa il simbolo degli anni dei cocktail azzurri, delle batterie sintetiche, dei capelli col frisee e delle giacche con imbottitura da giocatore di football.

Le nuove generazioni riscoprono lo strumento grazie all’epic sax guy, nomigliolo affibbiato a Sergey Stepanov; un moldavo palestrato che suona una melodia squisitamente ’90 in una band in cui il coefficiente ignoranza è a fondo scala e ogni secondo trasuda cocaina, angeli azzurri e malattie sessualmente trasmissibili. Credo in questa storia ci sia una morale o quantomeno un indizio sull’esistenza della volontà divina, ma non sta a me dirlo.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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