TP intervista Luigi De Magistris

Pubblicato il 17 Dicembre 2009 alle 12:00 Autore: Gianluca Borrelli
corte dei conti dichiara fallimento comune di napoli

Lei ha contestato duramente il Csm che l’ha trasferita dopo un procedimento disciplinare e ha attaccato il Presidente della Repubblica, oltre naturalmente al vicepresidente del Csm Mancino: qual è la differenza tra le sue affermazioni e quelle di Berlusconi che attacca anche lui la magistratura e il Capo dello Stato? Non c’è il rischio che magari passi un messaggio di somiglianza tra voi due?

No, è molto diverso. Innanzitutto il tipo di critica: Berlusconi attaca sostanzialmente i magistrati che lo vogliono processare per fatti di mafia, di corruzione, o che vogliono processare gli amici suoi, per fare semplicemente il loro dovere; io ho criticato il Csm perché non mi faceva fare il mio dovere, che è esattamente l’opposto di Berlusconi: cioè io attacco il Csm perché mi trasferisce non consentendomi di indagare. Il Csm non è la magistratura, il Csm è l’organo di autogoverno di cui fanno parte per un terzo rappresentanti politici e per due terzi rappresentanti delle correnti dei magistrati. Il Csm l’ho criticato perché ritengo che in quelle vicende abbia fortemente attentato all’autonomia e all’indipendenza della magistratura, non solo nella mia vicenda ma anche in quella dei magistrati di Salerno , si sia scritta una pagina buia della magistratura. Io da sempre, da quando sono entrato in magistratura, non difendo le patologie della magistratura, difendo l’indipendenza dei magistrati, che vanno difesi non solo dall’esterno, cioè dal potere politico, ma anche dall’interno. Io posso dire per esperienza che non è una categoria tutta rose e fiori, è una categoria come un’altra, e forse le peggiori interferenze al mio lavoro sono venute da opere di magistrati. Quindi io credo che sia questa la differenza: le critiche di Berlusconi a Napolitano sono le critiche di chi è abituato a criticare tutti, io faccio una critica che è più profonda, alla quale io non ho avuto risposta, cioè sulla vicenda giudiziaria, sul fatto che lui non abbia ritenuto di fare nulla in favore di servitori dello Stato che constrastavano il crimine organizzato. Anche le sue dichiarazioni sul protagonismo dei giudici: che cosa intendesse dire con quelle parole non l’ha mai specificato, e io sono intervenuto su queste cose. Poi credo che in democrazia la critica, purché sia fatta con continenza, si debba fare nei confronti di tutti.

Lei ha parlato di “mafiosi di Stato” usando una parola molto forte che è stata poi riportata dalle agenzie di stampa: a chi si riferiva?

Io faccio questo ragionamento: la mafia, dopo la stagione delle bombe – in particolare le stragi di Capaci e via D’Amelio del 1992 e quelle di Roma, Firenze e Milano del 1993 – ha cambiato completamente strategia politica. Ha abbandonato l’attacco militiare alle istituzioni ed ha cominciato a penetrare all’interno di queste, non solo nel sistema finanziario, attraverso il rciclaggio di ingenti profitti derivanti dal traffico internazionale di droga, ma è penetrata nei meccanismi costituzionali e politici, perché si era rotto un certo modo di intendere il rapporto tra mafia e politica. Questo “patto” saltò a mio avviso nel gennaio del 1992, quando la Corte di Cassazione confermò la sentenza del maxiprocesso di Palermo. Come in tutte le guerre si opera con le bombe e con la diplomazia, così in quel periodo la mafia operò con le bombe e con la trattativa: le bombe servono perché la mafia dimostrò che poteva mettere in ginocchio il Paese, e quindi alzò un prezzo altissimo. Chiusa la stagione delle bombe, si chiuse secondo me la trattativa, e la mafia cominciò ad istituzionalizzarsi, e a diventare in parte governo, in parte Stato. La mafia del terzo millennio è la mafia del colletto bianco, non è la mafia dei Riina, dei Provenzano e dei Bagarella, ed è la mafia che si siede insieme alla politica, alla borghesia mafiosa nei consigli di amministrazione delle società, in Parlamento, dappertutto, e quindi ha inquinato completamente la nostra democrazia, il nostro Paese, diventando un cancro. Ovvero non c’è più Stato e anti-Stato, ma per i magistrati e per le forze dell’ordine, quelli che ancora sono rimasti che intendono indagare in questa direzione, secondo l’obbligo previsto dalla Costituzione, i principali nemici non ce li hanno tanto dalla mafia “esterna”, militare, ma ce li hanno dall’interno, cioè da quella prosecuzione della mafia che è diventata Stato, è diventata governo, è entrata nelle istituzioni e ha anche rapporti molto stretti con magistrati, con forze dell’ordine. Io oltre ad appurarlo in diverse indagini ho anche testimoniato fin dove arrivavano queste propaggini della criminalità organizzata, fino a quanto soprattutto magistrati in calabria erano collusi con ambienti della criminalità organizzata.

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L'autore: Gianluca Borrelli

Salernitano, ingegnere delle telecomunicazioni, da sempre appassionato di politica. Ha vissuto e lavorato per anni all'estero tra Irlanda e Inghilterra. Fondatore ed editore del «Termometro Politico».
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