Per salvare le librerie bisogna cambiarle, non dare colpe a caso

Pubblicato il 16 Gennaio 2020 alle 15:00
Aggiornato il: 18 Gennaio 2020 alle 16:05
Autore: Nicolò Zuliani

Si piagnucola tanto sulle librerie che chiudono, ma nessuno sembra pensare a una soluzione. Se provassimo a renderle più belle sarebbe un inizio.

Per salvare le librerie bisogna cambiarle, non dare colpe a caso

Di recente ha chiuso l’ennesima libreria, tendenza che va avanti fin dai tempi in cui scrivevo la cronaca bianca al Gazzettino. Amazon non esisteva nemmeno, e all’epoca il libraio incolpava la concorrenza delle grandi catene: la Feltrinelli del centro Le Barche, i Mondadori store e l’immancabile “la gente non legge più”. Sono passati undici anni da quando ha chiuso la libreria storica di Mestre, e oggi che è toccato a Torino la colpa viene scaricata sull’azienda di Jeff Bezos.

Trovare colpe è utile come una forchetta nel brodo; Amazon, Feltrinelli, Mondadori non chiuderanno mai. Si può provare a fare quello che ha permesso ai nostri antenati di scalare la catena alimentare: osservare, imparare, migliorare. Quindi: perché una persona dovrebbe comprare in libreria, invece che farselo recapitare a casa?

La Feltrinelli è molto più di una libreria: è uno status symbol. Si tratta di un’azienda con un’identità talmente forte da essere diventata una comunità, che seleziona autori ben definiti affinché scrivano per un pubblico altrettanto definito. I lettori si trovano e si conoscono lì, prendono il caffè, ci fanno colazione sapendo che possono liberamente parlare di Salveenee, viaggi in India, nuovi fascismi, trekking in Nepal, editoriali di Gramellini sorseggiando femministisane alla curcuma senza il rischio d’incontrare il tecnico della caldaia o la badante del nonno. Feltrinelli è un’azienda di enorme successo perché ha saputo crearsi (e creare) un’identità; non dici “vado in libreria”, dici “vado alla Feltrinelli”. Perché sai che ci troverai luci, arredi, piattini, pasticcini e autori che ti piacciono.

Invece, le librerie di oggi come sono?

Sono depositi anonimi, asettici, con accatastate montagne di libri ordinati per genere, in cui se va bene il libraio è competente, ti conosce e/o sa farsi un’idea di chi ha davanti e consiglia; se va male prende un libro a caso e tanti saluti. Una persona normale entra e già si sente a disagio perché vede una mole di carta e copertine accatastate, magari c’ha sulle spalle quella voce stronza col monocolo che gli dice “non leggi abbastanza”, c’è un’atmosfera da discount, si vergogna e se ne va senza comprare niente.

Col mio lavoro – e la mia passione – di librerie ne avrò girate a centinaia, finché ho realizzato che le biblioteche sono quasi sempre più accoglienti. Invogliano a stare lì, a comprare i libri che consulti, a trovare una scusa per restare.

Perché?

Bè, perché i libri nelle biblioteche ti sembrano importanti, per esempio. O perché non sei circondato da un’atmosfera ansiogena di copertine e autori che non conosci – non leggi abbastanza! – e come al solito troppe opzioni sono uguali a zero. Perché non ci si aspetta che tu compri, l’atmosfera è quieta e piacevole, ci sono i giornali e la macchinetta del caffè, scaffali vecchi e nel complesso ti senti protetto e coccolato, non un ripetente che passa tra ali di stronzi snob. Detto in breve: in una libreria, leggere è un dovere. Alla Feltrinelli, leggere è un atto politico.

In biblioteca, leggere è un diritto.

Ed è tutto dovuto all’estetica.

A Milano, vicino a dove abitavo, c’era un negozio d’arredamento. Cambia allestimenti in funzione delle stagioni, e a Natale fuori c’era una fila di dodici metri. Incredulo, mi sono accodato. All’interno c’era una ressa tale da sembrare la metro, e in ogni stanza c’era gente che si faceva i selfie. Una madre e un padre hanno chiesto ai due figli di mettersi davanti a un albero di Natale per fotografarli, come se fossero in qualche località turistica.

Era strano, dato che i prezzi sono fantasmagorici e i clienti non sembravano affatto benestanti. Così ho fatto qualche domanda in giro, e ben quattro mi hanno risposto che no, non si potevano certo permettere quella roba, ma entravano per “l’esperienza”. Alla fine compravano un bicchiere da whisky da 20 euro e se ne andavano. Ecco, forse invece di incolpare la Feltrinelli o Amazon, potremmo fare in modo che andare in una libreria sia un’esperienza, invece di un dovere.

Dove preferiremmo andare, se dovessimo uscire di casa?
Magari fa freddo. Magari piove. Dove vorremmo andare?

Qui?
O qui?

“Ma i libri così passano in secondo piano”.

I libri non sono qualcosa di sacro: sono un prodotto. Anche se io ne leggo due al mese non sono nessuno per dire alla gente che “legge poco” o “dovrebbe leggere di più”. Le persone hanno vite complicate, diverse dalle nostre, con tempi e orari e famiglie diverse; quest’atteggiamento stronzo del “la gente legge poco” serve solo a dire “io leggo tanto”.

A noi interessa salvare le librerie, portarci la gente dentro e farglieli comprare; che poi li leggano o meno non ci riguarda. Dobbiamo rendere una libreria più attraente che stare in ciabatte sul divano; insultare i clienti e tirare colpe a caso è comodo e facile, ma non porta risultati e le librerie chiudono.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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