Meeting Mondiale dei Giovani: alla Fiera del Levante, la Fiera delle Banalità

Pubblicato il 25 Gennaio 2010 alle 15:15 Autore: Redazione
Meeting Mondiale dei Giovani: alla Fiera del Levante, la Fiera delle Banalità

Il Meeting, che è partito come un progetto di larghissimo respiro e con grandi aspirazioni, (come risulta evidente anche dalla raffinata scelta del titolo, in Esperanto: “Ni, Mondlokaj Civitanoj”, che significa “Noi, Cittadini Globali Locali”) si è poi, di fatto, concretizzato in una manifestazione gestita male, poco costruttiva e spesso, anzi, piuttosto sterile. Un errore su tutti: non c’è stata una vera e propria selezione sui partecipanti. La professoressa Sassens esordiva sostenendo che chi si trovava ad ascoltarla non era stato “selezionato”, ma doveva rappresentare un inizio, una piccola parte rappresentativa di una sterminata moltitudine. Il discorso non fa una piega e, anzi, è assolutamente apprezzabile e condivisibile: l’idea di selezione presuppone che, se qualcuno è stato scelto, qualcun altro è stato scartato, cosa in netto contrasto con quelli che avrebbero dovuto essere i principi ispiratori di un simile evento. Quando si parla di rappresentatività, tuttavia, si opera comunque una selezione implicita: i delegati dovevano rappresentare i giovani di tutto il mondo, ma in particolare i più preparati, attivi, costruttivi. Dovevano essere persone in grado di essere rappresentanti di alcuni ed esempio per altri. Nelle presentazioni si è sempre parlato di persone con un curriculum invidiabile, cosa quasi sempre vera per i delegati ma di certo non per i partecipanti. La differenza sta nel fatto che mentre ai delegati (circa un terzo dei presenti) veniva pagato tutto (viaggio, vitto e alloggio), ai semplici partecipanti non è stato pagato nulla (e, ovviamente, su questi non è stata operata alcuna selezione). Per cui, di fatto, la maggior parte dei partecipanti “senza titoli” veniva da Bari e dintorni: dovevano quindi affrontare una distanza tale da permettere loro di sostenere spese limitate o nulle. Risultato: si creavano delle commissioni in cui spesso, di fianco ai vari delegati dell’Ilo e dell’Unesco, erano presenti persone senza la minima preparazione sui temi affrontati o, nel migliore dei casi, senza la minima abitudine o esperienza nel mettersi in cerchio e confrontarsi con altre persone. È evidente che, in queste condizioni, era piuttosto difficile creare un dibattito costruttivo e di gruppo.

Secondo problema: tutti parlavano lingue diverse, il che sarebbe stato superabile se avessimo avuto a disposizione un Esperanto fruibile per tutti, cosa che purtroppo non era, perché ovviamente a nessuno si richiedeva di saper parlare l’Inglese. Ai fini di agevolare la comunicazione, dunque, si è deciso di suddividere in gruppi linguistici i vari workshop. Ne deriva che gli anglofoni discutevano con gli anglofoni, i francofoni con i francofoni, gli ispanofoni con gli ispanofoni eccetera, pertanto gli unici gruppi realmente internazionali, di fatto, erano quelli di lingua inglese e spagnola (e, ovviamente, nel gruppo italiano erano quasi tutti di Bari). Misero risultato, per un evento che aspirava a mettere a confronto le diverse esperienze vissute dai giovani di tutto il mondo.

 

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